I Giganti della montagna

 

ARMANDO VERDIGLIONE

 

7 novembre 1968

 

 

 

PARTE I II

 

L'IPOTESI UMORISTICA

 

Il ricorso a Gabriel Sailles al momento dell'elaborazione teorica non esclude l'originalit dell'ipotesi umoristica: nella concreta descrizione del processo formativo dell'opera d'arte, nella particolare e visibile presenza dell'attivit della riflessione dirompente all'interno dell'immagine fantastica.

() nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cio quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l'immagine; da questa analisi per, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario1.

L'attivit della riflessione concreta, non sovrapposta come critica sull'arte o sulla vita, ma intrinseca al corpo d'immagini nate da un primo sentimento: frantuma, non ordina; disgela il mondo per riproporlo in termini critici e problematici. E si genera una "distanza". Se la vita "flusso continuo, incandescente e indistinto"2, l'umorista come critico fantastico abbatte ideali, concetti, abitudini, le costruzioni coerenti e le finzioni codificate, scopre l'orrida nudit del cadavere dietro la maschera composta, anche con la notazione bizzarra di particolari che gli scrittori in genere trascurano. Qualsiasi preclusione di definiti schemi artistici ad accogliere ci che viene incontro organandosi vivo nella fantasia del poeta contrasta con l'ipotesi umoristica: al tutto tondo del personaggio attorniato e posseduto dall'autore che s'ispira a esteriori moduli di una cultura gerarchica raccolta intorno a un'immagine conchiusa di "realt" si preferisce il personaggio autonomo che si alimenta di un dialogo aperto. La scienza astrae la vita e la distrugge per anatomizzarla3, lascia ormai l'uomo con un malinconico posto nella natura, gi fin dalla rivoluzione copernicana4, con una rinunzia di fronte al mistero della vita, senza Dio, e l'arte, quando tutto par che tremi e tentenni5 tenta con spontaneit la propria indagine, ma nella progettazione tutto il peso della totale assenza di una guida. Se la fantasia innova su una lingua relatrice di idee comuni, ma non crea6, l'opera tuttavia nasce spontanea, non composta, non "fatta"7: sperimentazione, non adatta a "divertire" i lettori o gli spettatori, si spiega come questa di Pirandello, ora l'una ora l'altra, dai critici sia considerata parentesi o svolta; e la distruzione riconduce alla problematicit dell'inizio antecedente ogni scelta. Il rifiuto della religione del "fatto" e della sua contemplazione in chiave romantica superamento della "trama" e il principio del giuoco a carte scoperte: si apre il problema dell'interpretazione e il dramma originato dal vedersi in prigione8. La riflessione come specchio di s e della vita ribalta i fatti e le cose in una dimensione diversa, talora irriconoscibili ed estranei9. E il dubbio non risparmia nemmeno la favilla prometea, il sentimento della vita, mutabile e vario, quando per disgrazia s' capito il giuoco del demoniaccio beffardo che si diverte in ciascun uomo10. Lo specchio restituisce l'immagine in una condizione che non pu esser pi semplicemente comica, ove cessa la logica comune e ritrovarsi marionetta dramma: conseguenza dello specchio il riso dei disperati11, crudo ma non privo di piet12 di chi sa che la piet inutile o ben misera cosa. L'ipotesi umoristica s'avvale di un atteggiamento, del poeta, di perplessit, che una distinzione formale qui pone fra distacco e partecipazione.

Il linguaggio dello specchio esprime il sentimento della morte, l'onnipresente interlocutore muto dei personaggi nella nuova arte umoristica: e la conoscenza solo di ci che morto, non dato conoscersi, cio, senza morire13, senza condannare in una forma e nel cerchio del finito il reale che si semantizza. Qui il riso non pi comico, perch la morte ride sotto ogni finzione della vita14, cela per tutti la trappola, fissa per s tutti in un determinato tempo15, morti affaccendati che s'illudono di costruirsi la vita e si accoppiano per generare sempre un morto. E nessuno la conosce, come evento o come fine, per poter dire agli altri com': tutti ciechi16; n diviene un segno il cadavere, immobile fra le altre cose17. Inavvertita e sempre in agguato, piccola come una mosca. la disillusione totale18 e la liberazione, se abitare la terra serve a prepararsi a morire senza paura19: e si pu credere che, dopo la morte, nessuno vorr rinascere20. Matteo Sinagra, senza rimpianto, compie il rito di andare, solo, al cimitero, gi morto, a uccidersi21. Don Ippolito, che avverte con sgomento la necessit d'incontrare la compagna invisibile, ha orrore del suo corpo che il tempo presto corromper; ma, in una campagna rischiarata dal sole, pensa alla morte con serenit22. E il giovane di Un ritratto (1914) sembra arrestarsi a guardare gli altri e il rumore della vita che s'allontana, in attesa dell'evento imminente. C' chi, disperso in una quotidiana atmosfera infernale e all'orlo dell'esistenza, senza avvertire mai un raggio di luce sulla vita dei tanti morti della terra, decide di uccidere un uomo prima della nascita e vendicare cos la pena di tutti di trovarsi nati nel mondo (La distruzione dell'uomo). Ma tutti della morte hanno terrore. Anche chi la attende dopo un volontario atto di violenza23. Anche Ersilia Drei che tenta di procurarsi per la morte la vestina decente sognata invano durante la vita, ma costretta a morire nuda, perch gli altri gliela strappano e la lasciano lacerata e avvilita. Le cerimonie funebri che la societ vanta come segno di civilt sono una "stomachevole pagliacciata"24. E ognuno che accompagna i morti al cimitero se li vede tornare indietro, fuori della cassa, vivi come li sentiva prima25, e si addolora soltanto perch non riceve pi la realt che i morti prima gli davano26: il pensiero dell'"altra vita" serve ai vivi che continuano nelle illusioni per non trovarsi chiusi nella necessit della fine, non ai morti. E gli uomini si sforzano di non pensare alla morte, ma sempre a qualcuno che muore per una causa sua27.

La societ identifica il personaggio nel "fatto", che lo specchio riflette deformato e lontano: e il sentimento della morte, nato dal conoscere, domina ogni nuovo rapporto, talora interrompe la possibilit di discorrere28, copre di fango la vita. La paura del tempo che passa paura di conoscere ancora la propria morte. Il personaggio che attraverso lo specchio ha conosciuto il suo limite l'Adamo che ha mangiato il frutto dell'albero e si scopre per la prima volta nudo.

L'ipotesi umoristica che non ammette eroi, un personaggio che sia condottiero del giuoco e rifletta la totalit delle condizioni dell'opera narrativa o drammatica implica una progettazione di situazioni rese estreme e di personaggi individuati dalla riflessione, con un atteggiamento del poeta sempre fuori di chiave, a un tempo violino e contrabbasso di perplessit di fronte a tutto ci che vive funzionalmente nell'opera29:

la speciale attivit della riflessione "struttura" internamente la favola umoristica, in cui la trovata non semplice espediente tecnico in funzione del quale tutto sia organizzato. E Pirandello chiam "favole" le proprie opere30, che sembrano assumere quasi tutte anche nel titolo il tono di favola, e "parabola" Cos , se vi pare. Ma sempre arte come sperimentazione "aperta" e concreta, non arte simbolica, che risulta "fatta" e, nel suo astratto vocabolario, esteriore, come quella costruita dopo il calcolo compiuto nel guardaroba dell'eloquenza31.

La narrativa costitu per Pirandello una grande esperienza. Distrutta l'obiettivit del "fatto" gi con L'esclusa32, sono demistificate anche la trama e la personalit. Ma al personaggio la crisi del fatto d funzione di priorit. Il fatto pi non si narra, si enuncia brevemente come compiuto e si rappresenta il dramma scaturente dalla problematicit della sua interpretazione: la "storia" presente in modo sconcertante. Nella fantasia, l'autonomia del personaggio si sviluppa con interrogazioni e risposte32 bis: il poeta ascolta il personaggio nella sua lingua, nei contrasti col suo ambiente e questi si nutre cos del dialogo, mentre a uno a uno gli cadono gli abiti. Le determinazioni ambientali, sottolineate nella narrativa, sono in funzione dell'interiorizzarsi dell'esperienza, con un paesaggio inserito fra il nascere graduale del personaggio e l'ambiente che lo circoscrive. E non consentita una separazione dualistica fra ci che proprio del poeta e ci che proprio del personaggio, senza contraddire la natura dell'arte umoristica. Il linguaggio riflette le condizioni di distacco e di partecipazione in cui nato. Nella novellistica il riso, sempre amaro al fondo, a volte prende il carattere di battuta nella narrazione, per un contrasto che spinge alla stranezza la situazione o il discorso di un personaggio33 e a volte sembra di gusto paesano con un carattere di "citazione" dal linguaggio comune34. Ma con maggiore frequenza si pone sul piano di una pi specifica individuazione del personaggio35.

L'interpretazione del "fatto" implica la sua attualizzazione, procedente per scoperte e contrasti polemici, a scaglie, secondo evocazioni e legami interni: quando la catena del tempo si allenta, della vita non resta che un passato riflesso nello specchio di una memoria lucida, la realt si rivolta all'improvviso come un guanto e insorgono cose prima nascoste. E gi i piani narrativi sono pi d'uno. Tale processo di attualizzazione, che nel teatro si svolger attraverso le parole del personaggio, significativo nelle novelle: "La maestrina Boccarm (1899), Lumie di Sicilia (1900), La morta e la viva (1910), Il viaggio (1910), Romolo, Canta l'epistola (1911), I nostri ricordi (1912), Il coppo (1912), La trappola (1912), Notte (1912), La veste lunga (1913), Da s (1913), Il treno ha fischiato (1914), Un ritratto (1914), Zuccarello, distinto melodista (1914), La camera in attesa (1916). L'aspetto di "racconto del racconto" assumono alcune di queste, e altre: Il giardinetto lass (1897), Alla zappa (1902), Nel segno (1904), In silenzio (1905), La corona (l907), Difesa del Meola (1907), Il professor Terremoto (1910), La tragedia d'un personaggio (1911), La patente (1911), Ho tante cose da dirvi (1911), La verit (19l2), Il gorgo (19l3), Il bottone della palandrana (1913), Il fumo, I pensionati della memoria (1914), La distruzione dell'uomo (1921), Ritorno (1923), La tartaruga (1936). Alcune presentano una struttura dialogica pi evidente con una riduzione degli elementi narrativi: Vexilla regis (1897), La balia (1903), La veglia (1904), La casa del Granella (1905), Richiamo all'obbligo, (1906), La vita nuda (1907), Pensaci, Giacomino! (1910), La morte addosso (1918). Accanto al dramma del personaggio spesso presente un coro. E qualche volta l'autore si rivolge direttamente ai lettori, ma all'interno della narrazione: come all'inizio della novella Rimedio: la geografia (1920):

La bussola: il timone Eh, s! Volendo navigare Dovreste dimostrarmi per che anche sia necessario, voglio dire che conduca a una qualsiasi conclusione, prendere una rotta anzich un'altra, o anzich a questo porto approdare a quello.

Diversi sintomi, indicano che l'ipotesi umoristica spinta a fondo prelude a una possibile sperimentazione drammaturgica ma l'analisi della novellistica deve essere autonoma nelle sue peculiari differenze e non solo in vista del teatro : la struttura dialogica della novella, il principio della priorit del personaggio e della sua autonomia, il tentativo di abolire la "finzione" narrativa con l'allargarsi pluridimensionale dello spazio, il principio del giuoco a carte scoperte, l'isolamento disperato del personaggio dal suo ambiente in condizione di compiere, ormai al fondo dell'esperienza, le proprie inquiete domande, dopo il sospetto che la sua esistenza. sia possibile solo "metaforicamente", attraverso lo specchio rifrangente degli altri, il dramma della solitudine e, a un tempo, della necessit di trovarsi in relazione senza la quale si "nessuno"36 il motivo dell'estraneit dai pezzi che di s quotidianamente, morti, si lasciano sulla via. Lo specchio, con l'esigere l'evidenza, porta al teatro, induce a far di s teatro il personaggio, che cos pu giuocare tristemente sulla propria maschera o portare a spassino i piccoli morti ignari della trappola dopo aver lavato loro la faccia37. E si ragiona38. Della possibilit del teatro si accorse chiaramente Mattia Pascal (op. cit. , p. 55):

Posso dire che da allora ho fatto il gusto a ridere di tutte le mie sciagure e d'ogni mio tormento. Mi vidi, in quell'istante, attore d'una tragedia che pi buffa non si sarebbe potuta immaginare: mia madre, scappata via, cos, con quella matta; mia moglie di l, che lasciamola stare!; Marianna Pescatore l per terra; e io, io che non avevo pi pane, quel che si dice pane per il giorno appresso, io con la barba tutta impastocchiata, il viso sgraffiato, grondante non sapevo ancora se di sangue o di lacrime per il troppo ridere. Andai ad accertarmene allo specchio. Erano lacrime; ma ero anche sgraffiato bene. Ah quel mio occhio, in quel momento, quanto mi piacque! Per disperato, mi s'era messo a guardare pi che mai altrove, altrove per conto suo. E scappai via, risoluto a non rientrare in casa, se prima non avessi trovato comunque da mantenere, anche miseramente, mia moglie e me.

Sfida al "mondo" (il significato del termine comprensivo dell'ambito linguistico-ambientale) la rappresentazione della pazzia verit contrapposta alla "finzione": il personaggio sbalzato d'improvviso dalla vita fa di s l'esame; le sue parole pure fondanti le convenzioni e la menzogna serbano il ruolo essenziale di liberazione dal convenzionale e ricevono nella disperazione sangue e vita; ma non solo; con lui s'interrogano e si denudano altri, laceri e miserandi; e dire il vero pazzia che d un senso di sorpresa a ogni evocazione. Gi in un articolo su "Marzocco", L'azione parlata, il 7 maggio 1899, Pirandello scriveva:

Ogni sostegno descrittivo o narrativo dovrebbe essere abolito su la scena () Non il dramma fa le persone; ma queste il dramma. E prima d'ogni altro dunque bisogna aver le persone: vive, libere, operanti. Con esse e in esse nascer l'idea del dramma, il primo germe dove staran racchiusi il destino e la forma; ch in ogni germe gi freme l'essere vivente, e nella ghianda c' la quercia con tutti i suoi rami.

L'autonomia del personaggio la base per un teatro violento e provocatorio, in cui i significati di un'indagine artistica sulla vita sono pi crudamente contrapposti: un teatro ch', originariamente, la negazione della norma. Demistificato, entra in concorrenza con la vita39.

Il teatro contemporaneo comincia quando i personaggi irrompono sul palco per imporre il "loro" teatro ed posto in causa il teatro stesso. Il rifiuto della finzione scenica e del teatro-imitazione significa la nascita del "teatro del teatro", il pi radicale abbandono del naturalismo.

Il poeta ha respinto di quei sei personaggi il dramma concentrato attorno a quel "fatto" e ha dato loro un'altra ragion d'essere, quella che indica nel senso ipotizzato dall'umorismo la condizione del personaggio pirandelliano di trovarsi in cerca d'autore, la situazione "impossibile": "quella loro esagitazione passionale, propria dei procedimenti romantici, umoristicamente posta, campata sul vuoto". (Prefazione). Nel teatro, il luogo della rappresentazione di una "finzione" per una societ eletta, i personaggi, s'impadroniscono del palco e aggrediscono, ripieni del loro "dramma doloroso", gli uomini di mestiere che, tra la curiosit, la compassione e il riso, ne sono lentamente conquistati: il "fatto" vi appare attraverso le domande del Capocomico e le discussioni dei personaggi, del Padre e della Figliastra, ma anche del Giovane che quel dramma nega. L'esperimento della commedia da fare si risolve in un conflitto fra il piano fantastico e il piano della realt teatrale: i personaggi rivivono il loro dramma e gli attori tentano di ripeterlo per una possibile rappresentazione per il teatro, ma ne deriva una deformazione, una "smorfia irriconoscibile". Ed parte del teatro nuovo che l'attore si domandi sulla sua funzione. Cos i personaggi sulla scena non possono completare la loro "creazione", n sotto la direzione del Capocomico superare le condizioni in cui sono stati concepiti. Possono solo esporre il tormento di non essere stati "creati" compiutamente: tra il proposito d'invadere il teatro e giustificarsi e la delusione che n' conseguita. Ed stato scritto: "la commedia si fa mentre appunto in apparenza si disf"40. Il "teatro del teatro" include come suo termine essenziale il pubblico perch la "favola" umoristica , nella sua natura, corale, critica con la sua intensa problematicit delle verit dialetticamente progettate, ove il vecchio teatro richiedeva un pubblico che alla "finzione" prestasse fede. Ricostruire la vita per interpretarla, evocare per comunicare. E tra il coro della gente curiosa che smania di uscire dalla stranezza della situazione per non "impazzire", di aggrapparsi a qualche certezza e inserirla fra le tante del suo ordinato "mondo" i "personaggi" la signora Frola, il signor Ponza e il "fantasma" della signora Ponza la cui "verit" diversa e varia con il variare del punto d'osservazione, e il pubblico era in Cos , se vi pare un altro personaggio-coro, il Laudisi, il "filosofo" delle opere pirandelliane41, l'"assente" dalle vicende, estraneo a ogni tentativo di definitive certezze.

Piani diversi della nuova tchne teatrale sono in Enrico IV: gli attori preparano la rappresentazione con la cura e le attenzioni del mestiere, nell'intento di ricondurre il "pazzo" che di s fa teatro con l'aiuto dei ministri, i "segretari" nel "mondo", e serbano il gusto e la curiosit di vivere la finzione; il "fatto" attualizzato con l'evocazione compiuta da questi attori dinanzi al Dottore che domanda; gli attori di mestiere, i ministri del quotidiano rito, istruiscono gli attori improvvisati; il "personaggio" che giuoca scopertamente si rivela attore: Enrico IV "filosofo" e il "personaggio", estraneo a tutto e tale che la vita attuale degli uomini, attraverso la rappresentazione vera della commedia dell'evento storico del mille e cento, pu osservare come giuoco spettacolare; e dopo la "realt" della rivelazione della pazzia il rito per tutti si svolge ormai senza parti assegnate; ma con il ferimento di Belcredi la "rappresentazione" continua. E qui Mario Apollonio: "() la suggestione poetica va assai pi in l e investe il gran tema dell'idolatria delle forme storiche che tenne l'Italia per pi decenni"42.

In Ciascuno a suo modo, fra l'interpretazione scenica d'un soggetto a chiave ove Delia Morello si riconosce nelle due "realt", sebbene opposte, in cui vista da Diego Palegari e Francesco Savio, e passioni recondite, non manifestate in seno alla relazione sociale, si rivelano sulla scena con Diego Cinci, "filosofo", ma anche personaggio della vicenda, e il pubblico, i due intermezzi corali contengono il conflitto tra i diversi piani; e il personaggio reale, protagonista del "fatto", corre sul palco a protestare contro lo spettacolo diffamazione e contro la deformazione avvenuta per opera dell'attrice: il pubblico assiste all'attuazione "realmente" di ci ch'era stato anticipato nella rappresentazione e si palesano i rischi, indi l'impossibilit, del teatro a chiave. Nel "teatro del teatro", in cui emerge la dialettica teatro-rappresentazione-vita reale, pure discusso il rapporto autore-opera-pubblico, secondo un'esigenza, propria della sperimentazione umoristica, che nella novellistica aveva fatto la sua apparizione. Un esempio:

() e qua ho un giornale ove si dice, a proposito di un mio libercoletto che sono un vilissimo cinico grossolano che mi pascolo nelle pi basse malignit della vita e del genere umano: io, sissignori. Vorrebbero da me, ne' miei scritti, luce, luce d'idealit, fervor di fede, e che so io 43

In Questa sera si recita a soggetto la discussione sul teatro, sulla sua funzione e i suoi problemi preminente: il ruolo degli attori varia tra la parte loro assegnata, d'un dramma, dal regista che aspira agli applausi con la potente scenografia e l'"attualit" del colore locale del soggetto, e la loro condizione di uomini di mestiere, il problema dell'interpretazione del "fatto" drammatico con quel Sampognetta tragicamente beffato tra la festa del cabaret e la festa in casa, rivissuto da un attore che, trascurando l'espediente preordinato e rotto l'effetto proposto, non riesce a morire; gli attori s'impadroniscono del palco per espellerne il regista e improvvisare, senza imposizioni esterne, con semplicit scenografica44, in scene essenziali e pienamente investiti della loro parte, la commedia a soggetto; ma fare del proprio corpo i fantasmi significa il rischio di concludere, con la morte del "personaggio", anche la propria vita e gli attori rifiutano di ripetere la commedia a soggetto. Il Primo Attore al dottor Hinkfuss, prima, diceva:

Come vuole che pensiamo pi al suo teatro noi se dobbiamo vivere?

E dopo, indicando la Prima Attrice:

Lei veramente la vittima; vedo, sento che piena della sua parte com'io della mia; soffro, a vedermela davanti [le prende la faccia tra le mani] con questi occhi, con questa bocca, tutte le pene dell'inferno; lei trema, muore di paura sotto le mie mani: qua c' il pubblico che non si pu mandar via; teatro no, non possiamo pi n io n lei, metterci a fare adesso il solito teatro; ma come lei grida la sua disperazione e il suo martirio, ho anch'io da gridare la mia passione, quella che mi fa commettere il delitto: bene: sia qua, come un tribunale che ci senta e ci giudichi! (Atto III).

Il rifiuto della "finzione" con l'attualizzazione, sotto luce differente, del "fatto" significa la rottura costante del tempo scenico, discontinuit, una catena in cui ogni tratto accresce la distanza da quello precedente per il tentativo di superare l'illusione. Il tempo rapina e immobilit sul piano della vita fluente e delle cose ferme fuori di ogni evento umano. Quello del nuovo teatro variazione e differenza: se ci che regola il dialogo l'opposizione fra l'una e l'altra proposizione legate da un termine connettore comune e in Pirandello il personaggio vive la sua esperienza in una condizione diversa da quella altrui, il tempo della commedia umoristica il nuovo rapporto strutturale, nell'organizzazione funzionale di ogni sequenza drammatica e nel legame fra le diverse sequenze. Anche i personaggi secondari sono, internamente, funzionali alla totalit significativa.

L'ipotesi umoristica non ammette eroi, ma neanche un mito che gli eroi evochi in situazioni straordinarie. Il teatro del mito varr come il culmine di tensione teatrale ne I giganti della montagna anche quest'opera, senza dubbi, costituente una "svolta"; e l'umorismo non una formula applicata da ricontrollare per le estreme opposizioni drammatiche in un'esperienza originaria di poesia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 1

 

Scalognati d'una villa sperduta alle falde d'una montagna, tutti in coro, fanno i fantasmi. Sembrano preoccuparsi, ma nessun pericolo possono correre. E Cotrone li richiama all'immaginazione, la loro dote precipua. Forse sono in arrivo i teatranti? I "pazzi" possono tutto.

Ecco dunque, subito, la Scalogna e i suoi abitanti: il senso della villa in immediato rapporto a loro.

I nomi dei personaggi non si ritrovano in altre opere di Pirandello, tranne la Sgriscia il nome era cos anche ne I fantasmi , la vecchia serva di don Ravan della novella In corpore vili (1895), e Quaquo, il protagonista di Certi obblighi (1912).

 

n. 2

 

Ed ecco alcuni membri della Compagnia con i primi lamenti sulla condizione attuale e le conseguenze del "fatto", mentre Quaquo precisa che quello degli Scalognati non teatro e guarda i teatranti con gusto di spettatore credendo nella sorpresa di una nuova rappresentazione preparata da Cotrone. I due gruppi si vedono, reciprocamente, in questo primo confronto, come attori di un giuoco spontaneamente offerto: e il piano di realt muta e si confonde.

Cromo dice del Conte declamando: "Ma senza pi contea n pi contanti!".

E in Amicissimi (1905):

 

Conte di nascita, ma purtroppo senza pi n contea n contanti, Gigi Mear aveva nella beata incoscienza dell'infanzia manifestato al padre il nobile proposito ().

 

n. 3, a

 

S'inizia la "Favola": Ilse1 vive il suo personaggio di fronte ai teatranti, che il giuoco favoriscono, e agli Scalognati, che godono dello spettacolo inatteso; ma dal sogno di una rappresentazione si desta e si ritrova attrice, con gli altri nella miseria e ormai, senza rimedio, in piazza.

A Doccia i teatranti che recitano e si accendono nel diverbio paiono pazzi.

 

n. 3, b

 

Cromo il "tipo" dell'attore: sa di essere miserabile ed consapevole del suo mestiere. Ma impreca contro la condizione attuale e con gli altri questiona, pronto a descrivere la miseria di ora in termini di compatimento per s e per i suoi compagni, come se sostenesse una "parte". Il suo ruolo nell'interpretazione del "fatto" polemico. Ma stima l'onest di Ilse e il suo sacrificio nonostante l'amore per il poeta: qui il suo rapporto con la Compagnia anche ora che si cammina sul fango. Le sue parole talora paiono inserite in una recitazione di formule:

 

Tant' vero che non si deve andar mai contro a ci che il cuore comanda!

 

Come prima (n. 2):

 

Ma senza pi contea n pi contanti! 

 

Gli si oppone Spizzi che accetta tutto e difende l'"eroico martirio". Battaglia sente che tutti insieme scavano pian piano una fossa comune. Il Conte soffre ora per le conseguenze della fedelt della moglie, che non si pente di seguire dopo tanta rovina ancora con quella dignit cos protetta da Diamante.

Ilse era un tempo attrice:

 

Se non fossi nata attrice, capisci? Il mio schifo questo, che dobbiate esser voi, proprio voi i primi a crederlo e a farlo credere agli altri "Vuoi una buona scrittura?" "Venditi", "Abiti, gioje?" Venditi! Anche per una sudicia lode in un giornale!"2.

 

Attrice si sente soprattutto ora, costretta a dare all'opera la vita negata al suo autore. E per l'opera si trova con gli altri "in piazza", nuda di tutto, fino a poter mostrare l'anima stracciata, fino a toccare il fondo e sentire ch' giunta la fine e per tutti la liberazione. Il presente senza rapporti ordinati, manca di connessione, come il sogno o l'"altra vita" dopo la morte. Il passato morto. Ma lei si sente sospesa al "fatto" che evoca in tempo passato: aveva compreso che il poeta scriveva l'opera con tanto impegno per attrarla a s:

 

una donna fa presto ad accorgersi di queste cose; voglio dire quando s' fatto un pensiero su lei 3.

 

I teatranti non sembrano capaci di un gesto, di una parola sicura e propria, ma parlano tra loro, accomunati dalla pena e dal compatimento, con scatti improvvisi e pronte pacificazioni, con parole d'ira e gesti dimessi, secondo l'abitudine del loro mestiere, al riparo ora dal pubblico fischiante, ma senza prospettive per l'avvenire, come dietro un tendone di pietra. Hanno dato vita a tanti personaggi sulla scena, non ne sanno trovare ora una propria, staccati da una routine e serbanti ancora un ultimo filo di speranza: si lavora, poi ci si trova fuori nell'inazione con quel ricordo pressante del mestiere. Dipendono tutti dal "fatto" ed in rapporto al "fatto" la loro "scena", svolta dinanzi agli Scalognati attenti. Quaquo s'interessa per i protagonisti, attratto dallo spettacolo e interviene:

 

Che straccio di spettacolo! E poi dice di no! () Tant' vero, scusa, che ti sei preso uno schiaffo!

 

E Cotrone:

 

Non si dia pensiero di noi, siamo gente in vacanza noi, e a cuore aperto, signora Contessa4.

La Scalogna l'opposto della villa-giardino di tanta letteratura che accoglie gente in vacanza, decisa a godere per allontanare l'idea del dolore e della sofferenza degli altri, in maggior parte, che vivono insieme: il luogo dei fantasmi e dei mendicanti.

 

n. 3, c 

 

Un'opera, d'un poeta morto disilluso, da rappresentare fra la gente: questa l'eredit di Ilse. I tentativi compiuti con il concorso di potenti scenografie sono finiti in un completo fallimento. Il Conte non si pente di avere consumato tutto il suo patrimonio, ma l'opera deve vivere, nobilitarsi con il successo. Altrimenti, lo attendono le risa e il disprezzo della gente. E Cotrone:

 

Ma io l'ho in odio, questa gente, signor Conte! Vivo qua per questo. E' in prova, vedono? () ero cristiano, mi son fatto turco! () Turco per il fallimento della poesia della cristianit5.

 

un accenno al passato, quanto basti a sottolineare qui una frattura: la separazione della Scalogna dal "mondo".

 

n. 3, d

 

Il paese in cui giunta la Compagnia dei comici senza teatro: s, ve n' uno, ma abitato dai topi. Sar presto abbattuto per la preparazione di uno stadio o del cinematografo, perch lo spettacolo sia dal popolo seguito. sera tarda e conviene riposarsi, entrare nella villa e imparare da Doccia la regola della Scalogna:

 

Fare a meno di tutto e non avere bisogno di nulla.

 

E Quaquo invita al giuoco:

 

Ci divertiremo! Io faccio il ragazzino! Ballo come un gatto sulla tastiera dell'organo! 

 

n. 4

 

Ilse rivive ancora brani della "Favola", ora che la luce del giorno venuta meno e comincia l'alba lunare. Cotrone invita i due a entrare nella villa:

 

Manca forse il necessario, ma di tutto il superfluo abbiamo una tale abbondanza

 

E Simone Pau, il "professore" dell'ospizio di mendicit, dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore (19l5), cit. , p. 16:

 

Quanto al mio amico Simone Pau, il bello questo: che crede d'essersi liberato d'ogni superfluo, riducendo al minimo tutti i suoi bisogni, privandosi di tutte le comodit e vivendo come un lumacone ignudo. E non s'accorge che, proprio all'opposto, egli, cos riducendosi, s' annegato tutto nel superfluo e pi non vive d'altro.

 

Nella sequenza precedente Mara-Mara accennava al cinematografo in un paese che rifiuta il teatro, in un tempo di macchine. E a pag. 185 dei Quaderni:

 

Ah, che dovesse toccarmi di dare in pasto anche materialmente la vita d'un uomo a una delle tante macchine dall'uomo inventate per sua delizia, non avrei supposto. La vita, che questa macchina s' divorata, era naturalmente quale poteva essere in un tempo come questo, tempo di macchine; produzione stupida da un lato, pazza dall'altro, per forza, e quella pi e questa un p meno bollate da un marchio di volgarit. Io mi salvo, io solo, nel mio silenzio, col mio silenzio, che m'ha reso cos come il tempo vuole perfetto. Non vuole intenderlo il mio amico Simone Pau, che sempre pi s'ostina ad annegarsi nel superfluo, inquilino perfetto d'un ospizio di mendicit. Io ho gi conquistato l'agiatezza con la retribuzione che la Casa m'ha dato per il servizio che le ho reso, e sar ricco domani con le percentuali che mi sono state assegnate sui noli del film mostruoso. vero che non sapr che farmi di questa ricchezza; ma non lo dar a vedere a nessuno; meno che a tutti a Simone Pau che viene ogni giorno a scrollarmi, a ingiuriarmi per smuovermi da questo mio silenzio di cosa, ormai assoluto che lo rende furente. Vorrebbe ch'io ne piangessi, ch'io almeno con gli occhi me ne mostrassi afflitto o adirato; che gli facessi capire per segni che sono con lui, che credo anch'io che la vita l, in quel suo superfluo.

 

Al tempo di macchine Serafino Gubbio oppone l'impassibilit acquisita proprio con la professione di girare con la mano la manovella, il silenzio di cosa, Simone Pau l'abbondanza del superfluo. E tra il "professore" dell'ospizio di mendicit e il "mago" della Scalogna corre una continuit.

Cotrone vive di incantesimi, fa nascere la luce d'aurora e il nero della notte:

 

Questo nero la notte pare lo faccia per le lucciole, che volando non s'indovina dove ora qua ora l vi aprono un momento quel loro languido sprazzo verde. (). Lucciole! Le mie. Di mago. Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli occhi, a un comando, si distaccano; entra l'invisibile: vaporano i fantasmi. cosa naturale. Avviene, ci che di solito nel sogno. Io lo faccio venire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l'amore tutto l'infinito ch' negli uomini, lei lo trover dentro e intorno a questa villa.

 

Gli incantesimi sono introdotti a sorpresa per anticipare le parole sulla Scalogna, con il procedimento solito per le "similitudini" nelle commedie di Pirandello: un richiamo concreto, in apparenza senza rapporto con il discorso dialogico che si va svolgendo, inserito successivamente dal personaggio nella meditazione.

 

E per Pirandello le lucciole sono illusioni viventi a fianco della favilla prometea, il sentimento della vita, mutabile e vario (1904):

 

() cerchiamo d'inseguire le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri lanternini, nel buio della sorte umana6. 

 

Sono lo schiarirsi inatteso di cielo in una situazione di sogno (1912):

 

Tutt'a un tratto mentre se ne stava cos, quasi assente da s, nel chiaror tenue e umido delle stelle, si vide passare davanti agli occhi lo sprazzo verde d'una lucciola, che venne a posarsi su la paglia, accanto a lui. Ebbe, a quello sprazzo, un'impressione come di cielo vicino e pur tanto lontano, e balz a sedere, quasi destato di soprassalto da un sogno; ma sogno gli sembr invece la vista delle cose intorno, confuse nella notte: la sua casetta colonica, screpolata e affumicata, la mula, i due asinelli tra la stoppia, e laggi laggi i lumi esitanti del suo paesello di Raffadali7.

 

Sono come l'aprirsi delle "pi oscure profondit dell'anima" in un paese di sogno e di mistero (1917):

 

T'assicuro che stata per me una nottata fantastica, tra lo sprazzare d'una miriade di lucciole per quel viale: accanto a quell'uomo che parlava con una sincerit spaventosa; e, come quelle lucciole innanzi agli occhi, ti faceva guizzare innanzi alla mente certi pensieri inattesi dalle pi oscure profondit dell'anima. Mi pareva, non so, di non essere pi sulla terra, ma in una contrada di sogno, strana, lugubre, misteriosa, ov'egli s'aggirava da padrone, ove le cose pi bizzarre, pi inverosimili potevano avvenire e sembrar naturali e consuete8.

 

E nelle prime delle tre uniche cartelle su Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla Terra sono il respiro d'un uomo, a tratti, illuminato da una speranza e presto oscurato da una delusione: 

 

Non mi piace parlare alle spalle di nessuno; e perci, ora che prevedo prossima la mia partenza, mi metto a dire in faccia a tutti le informazioni che dar, se m'avverr che altrove mi si domanderanno notizie di questo mio involontario soggiorno sulla Terra, dove una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d'olivi saraceni affacciata agli orli d'un altipiano d'argille azzurre sul mare africano. Si sa le lucciole come sono. La notte, il suo nero pare lo faccia per esse che, volando non si sa dove, ora qua ora l vi aprono un momento quel loro languido sprazzo verde. Qualcuna ogni tanto cade e si vede allora s e no quel suo verde sospiro di luce in terra che pare perdutamente lontano. Cos io vi caddi quella notte di giugno, che tant'altre lucciole gialle baluginavano su un colle dov'era una citt la quale in quell'anno pativa una grande moria.

 

n.5

 

Compare sulla soglia della villa la Sgricia, "quella che prega per tutti noi", con il suo racconto. Ma opportuno confrontare la novella Lo storno e l'Angelo Centuno (1910) con la strutturazione dialogica e drammaturgica.

La novella il racconto di un racconto, secondo un procedimento ricorrente nella novellistica. Essenzialmente corale. Con talune battute dialogiche o parentetiche destinate al lettore, in funzione narrativa. I due racconti sono strettamente uniti, con due protagonisti, lo storno e l'Angelo Centuno. L'ambientazione iniziale di un crudo paesaggio di caccia: "certe scorciatoje scellerate", "scavalcar muricce", "cercare il passo tra le fitte siepi di gavi e di rovi", "traversar rigagnoli sui ciottoli". E l'antefatto della fatica vana dei cacciatori funzionale al rapporto tra il miracolo dell'Angelo e l'uccisione di uno storno al termine della novella: e il tempo dominante l'imperfetto:

 

Ci eravamo levati al bujo e camminavamo da tre ore con una fame da lupi ()

 

con l'inserimento del discorso indiretto, continuato, vivacemente, da quello diretto, che nel racconto istituisce un'accolta. Ma le successive riprese della tematica narrativa, punti fermi del nucleo centrale della novella, sono tutte al perfetto:

Ecco, forse fu perch sparammo con un occhio chiuso e l'altro aperto () non uno storno, che si dice uno, riuscimmo a far cadere () Lo sterminio ci fu, ma nel pollajo di Cumbo. Una fame pantagruelica si svilupp in tutti noi quattro giovani cacciatori () Una mattina finalmente, dopo colazione, non pot pi reggere () Stefano Traina la guard un tratto come basito; balz in piedi, corse in camera a prendere il fucile, e scapp via. Rompemmo tutti in una risata fragorosa. Donna Gesa aggrott le ciglia e aspett che finissimo di ridere; poi si volse verso Monsignore () Celestino Calandra (giovane e santo) sorrise bonariamente e ci spieg () Donna Gesa tacque. Tacemmo, ammirati, io e il Gaglio e Monsignore, suo padrone. Ma Sebastiano Terilli, scrollandosi, esclam () si precipit nella sala da pranzo ().

 

La descrizione del personaggio ha talora un andamento didascalico, come quella di donna Gesa, dopo la notazione del gesto-risposta alle provocazioni:

 

Era una donnetta piccola magra e viva, sempre un po' irritata. Tra le lunghe labbra sottili la saliva le friggeva. Batteva di continuo le palpebre su gli occhietti neri e furbi, da furetto. Gi dalle tempie, per le gote, fino al naso, le si allungava a fior di pelle un'intricata diramazione d'esilissime venicciuole violette.

 

Nel secondo racconto, in cui preminente il senso straordinario del fatto narrato in termini fiabeschi da una popolana, con maggiore frequenza ricorre il tempo perfetto. Diversi particolari novellistici sono esclusi nella forma drammatica e nell'evocazione essenziale della Sgricia. Ci che serviva all'ambientazione detto dalle Voci:

 

                                novella                                                                           mito

 

Favara paese d'assassini, dove                                                      paese di mala fama, come ce

ammazzare un uomo era come                                                     n' ancora purtroppo in quest'isola

ammazzare una mosca                                                                  selvaggia. S'ammazza un uomo

                                                                                                      come una mosca

 

e da Cotrone che informa intorno all'Angelo Centuno e alla triste storia del bambino. E il discorso indiretto di zi' Lisi si sdoppia fra Cotrone e la Sgricia: la tragedia del ragazzino sgozzato nel sonno dal carrettiere per rubargli i due soldini e comprarsi il tabacco in paese ritratta in un quadro crudo che vede l'assassino andare cantando sul carretto "sotto le stelle del cielo"; ma per la Sgricia, che ne vede la punizione, "sotto gli occhi di Dio che lo guardavano", il quadro sembra diventare mito religioso, con l'intervento provvidenziale che colpisce l'iniquo ("come se un altro parlasse per bocca sua"), immaginato nel momento culminante della colpa e dell'imminente espiazione ("con quei soldi del bambino nella mano insanguinata"): come il ritratto di un condannato pronto a scontare la pena in uno spettacolo sacrale di un "successo" romano del Cinquecento.

L'evocazione del miracolo che ha operato il passaggio della Sgricia nella Scalogna, cio nell'"altra vita", ridotta alla nudit semplice del "vero", senza le accentuazioni fiabesche della novella. Con mutamenti significativi:

 

                              novella                                                                              mito

 

la polvere era cos alta, che non                                                  in quel silenzio che spegneva

faceva neanche sentire il rumore                                                 nella polvere perfino il rumore

degli zoccoli dell'asinella                                                             degli zoccoli dell'asinella 

 

La Sgricia, donna di popolo, usa poche parole che si snodano man mano che il ricordo della scena fantastica rivive nella memoria della protagonista per svelare la sua esperienza: e il silenzio sacro della Compagnia che segue coralmente la vecchia sull'asinella, di notte e per un paese di mala fama, un momento eterno che l'immaginazione presenta sempre come incontro straordinario e nuovo. L'apparizione dell'Angelo sar un desiderio di colei "che prega. per tutti", nella Scalogna, il regno della libert fantastica.

 

n. 6

 

Cotrone invita Ilse a non cercare di spiegarsi le Voci, nulla, e parla della vita degli Scalognati nella villa.

L'analisi sul piano sintagmatico del discorso del "mago" scopre tre livelli, interrelati e dipendenti dalla negazione iniziale:

 

Non bisogna pi ragionare

 

a) Qua si vive di questo.

    Non si pu campare di niente  

    sordit d'ombra non possiamo soffrirne

b) Privi di tutto (cfr. n. 3, d) ma con tutto il tempo per noi Siamo piuttosto placidi e pigri, seduti, concepiamo enormit, come potrei dire? mitologiche; naturalissime (cfr. n. 4), dato il genere della nostra esistenza

e allora una continua sborniatura celeste

Respiriamo aria favolosa.

Gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi

Udiamo voci, risa;

vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d'ombra

creati dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati

dal troppo sole della nostra isola  

c) Le cose che ci stanno attorno parlano e hanno senso nell'arbitrario in cui per disperazione ci viene di cangiarle  

e tutte le cose che ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore

Le figure non sono inventate da noi; sono un desiderio dei nostri stessi occhi.

 

Lontani dal "mondo" e da tutto ci che ha bisogno di un "ragionamento" per definirsi entro certi canoni, gli Scalognati non agiscono pi dietro un interesse con un fine preciso e sicuro, sono stranamente fermi, quasi da sempre per una secolare pigrizia. Non lavorano, ma non hanno bisogni particolari. Hanno varcato un muro dietro il quale s' aperta l'eternit e ogni cura del necessario caduta. Non tollerano l'oscurit di qualche angolo, rischiarati dalla luce chiarissima di sole della loro isola. E giungono dalla loro vita nascosta alla luce voci e suoni, il senso di "fatti" rappresentati ora come spettacolo, di cose ignorate o trascurate. Nel silenzio si scoprono dinanzi a loro favole e miti, figure che si muovono e parlano, e li stupiscono: ma sono evocazioni, pi che apparizioni: le cose vengono cangiate arbitrariamente per la disperazione di chi guarda, rispondono anzi all'attesa dei disperati che dal "mondo" sono stati esclusi. Il pigro immobilismo degli Scalognati nell'isola piena di sole radicale diffidenza per tutto ci che pubblico e sa perci di falso.

L'analisi sul piano paradigmatico manifesta ancora il senso. Nelle opere di Pirandello graduale l'"evoluzione" del tema dell'incontro del personaggio con le cose verso un originario contatto, al di fuori di ogni ordine dalla societ convenzionato, senza il tentativo di fornire una costruzione definita ai propri sentimenti9: e le cose oscillano fra l'essere "per se stesse" e l'essere per qualcuno10.

Il personaggio pirandelliano spesso solo e senza rapporti, come Lars Cleen: le cose, neanche quelle che non possono appartenere a nessuno, gli sono profondamente estranee, nella loro immobilit indifferente. Il loro senso rimane inconoscibile e fuori di ogni relazione11. Ma sono anch'esse nella trappola della morte, chiuse nella coscienza finita di chi le conosce12 partecipano dell'infelicit umana se esistono senza sapere perch13 oppresse da una stessa pena infinita14 , dell'angoscia, dello sgomento d'attesa15: e un paio di scarpe possono rimanere, nella solitudine e nel silenzio, dietro un uscio sempre chiuso, come in castigo dopo una tragedia16. Le cose accrescono a volte con la loro indifferenza l'angoscia del personaggio17. Immobili, rapportano con stupore a un'et senza tempo18, il loro silenzio apertura dell'eternit19. Quando le lucciole scompaiono a una a una, la vita s'arresta; e l'orologio che continua a segnare le ore e a misurare il tempo pu apparire come un ironico commento20. Del resto, ironia allo spettacolo della vita e delle decisioni umane la fredda immobilit delle cose21. Queste non hanno un valore proprio fuori del significato che attribuito loro22: fossilizzate per secoli in certi significati23 e ridotte, come tutta la natura, a una moneta logora24, con la distruzione della "citt" non significherebbero pi nulla25. Ma in taluni momenti eccezionali della vita perdono il loro significato ordinario26: e pu essere una scoperta accorgersi, all'improvviso, per un motivo fortuito, che le cose sono, e ritrovare l'incanto dopo la monotonia dei giorni e la prigione delle azioni ordinarie, come per Ciula, per Belluca, per Bernardo Morasco26 bis. E le cose sono fuori delle vicende umane, come la luna dopo il racconto dello Scala de Il fumo di tante miserie, smarrita nel cielo e non propria di quella notte, ma di altri tempi, che accresce l'isolamento della campagna abitata e coltivata da pochi uomini in discordia fra loro. Il personaggio pu uscire dalla rapina del tempo e dalle convenzioni e chiudersi in un silenzio di cosa, confrontarsi con l'immobilit delle cose, talora come vendetta e sfida a un tempo macchine e, pure, piet per tutti, desiderio che tutti, in quel silenzio, trovino un contatto fra loro partecipi della stessa pena (Serafino Gubbio, op. cit., P. 80). Il visitatore, "protagonista che osserva", de La casa dell'agonia (1935), ignoto in una casa, nel silenzio d'attesa, tra mobili vecchi intaccati dal tempo e qualcuno nuovo, non nessuno o quello stesso silenzio fra le cose misurato dal tic-tac lento della pendola. Ma qualcuno, quando la nausea insopportabile della finzione opprime, vorrebbe consistere ancora in una cosa (Di sera, un geranio, 1934). Ersilia Drei sa di non aver mai avuto la forza di essere qualche cosa, magari di creta che si spezzi e i rottami possano vedersi. Se Guarnotta de La cattura (1918) ha spavento di vedere le cose, la sua spalla e la creta della grotta, nel loro strano isolamento senza pi connessione con la vita ordinaria, per altri l'intimit delle cose , ormai, l'unica salvezza: per la maestrina Boccarm (1893) che si commuove di tutto ci che nuovo; degli alberi nascenti alla vita; per Cristoforo Golisch che ha ricevuto un colpo, lieve, dalla morte mentre passava accanto e si sente rinato quando pu muovere i primi passi per la camera, con la meraviglia di un bambino di vedere, come per la prima volta, gli oggetti, di potere avvicinarsi, carezzarli e intenerirsi di gioia fino a piangerne (La toccatina, 1906); per Tommasino Nunzio che vuole vivere tra le cose, le piante, come le bestie, senza memoria, nemmeno del proprio nome, n pensieri, senza cercare un senso alla propria vita. Il "protagonista che osserva" ne La mano del malato povero intuisce fra s e le cose un rapporto straordinario pullulante di meraviglie: tentare di parlarne agli altri, continuare a vivere in questo dialogo, la "pazzia" ed possibile solo nella Scalogna, non nella vita sociale ordinata in un certo modo27. E Fausto Bandini, il "protagonista che narra" di Quand'ero matto, prima di diventare savio, godeva dell'intimit delle cose:

 

Sul cadere della sera in villa, mentre da lontano mi giungeva il suono delle cornamuse che aprivano la marcia delle frotte dei falciatori di ritorno al villaggio con le carrette cariche del raccolto, mi pareva che l'aria tra me e le cose intorno divenisse a mano a mano pi intima; e che io vedessi oltre la vista naturale. L'anima, intenta e affascinata da quella sacra intimit con le cose, discendeva al limitare dei sensi e percepiva ogni pi lieve moto, ogni pi lieve rumore. E un gran silenzio attonito era dentro di me, sicch un frullo d'ali vicino mi faceva sussultare e un trillo lontano mi dava quasi un singulto di gioja, perch mi sentivo felice per gli uccelletti che in quella stagione non pativano il freddo e trovavano per la campagna da cibarsi in abbondanza; felice, come se il mio alito li scaldasse e io li cibassi di me. Penetravo anche nella vita delle piante e, man mano, dal sassolino, dal fil d'erba assorgevo, accogliendo e sentendo in me la vita d'ogni cosa, finch mi pareva di divenir quasi il mondo, che gli alberi fossero mie membra, la terra fosse il mio corpo, e i fiumi le mie vene, e l'aria la mia anima; e andavo un tratto cos, estatico e compenetrato in questa divina visione (in "Il vecchio Dio", cit. , p. 48).

 

E Tobba si propone di non pensare a niente, di vivere senza proporsi uno scopo, senza dare un significato definito dall'uso al proprio lavoro28. Vitangelo Moscarda, dopo le molte esperienze, vuole morire ogni attimo e rinascere nuovo e senza ricordi, in ogni cosa fuori, respirare sempre aria nuova, "impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni" (1926, op. cit. , p. 165). Ed ecco le parole di Romeo Daddi in Non si sa come (Atto I l935):

 

Quest'incanto qua, cara. M'immagino sul tramonto. A lasciarsene prendere29. Addio coscienza. Si naviga. () E il mare pu anche essere un catino, se non ne scorgi pi i limiti. Pare impossibile che ci siano sciagurati che han bisogno di vino o di droghe per annegare in paradisi artificiali, quando si vive cos poco nella cos detta coscienza (ecco ti spiego come ora vedo) continuamente rapiti fuori di noi da tutto il vago delle nostre impressioni, ebbrezze di sole in primavera, stupore di arcani silenzi, spettacoli di cielo, di mari, e le rondini, anche dentro di noi, di pensieri guizzanti, gli sbalzi a volo da un ricordo all'altro, al minimo richiamo fuggevole d'una sensazione. Pare ch'io ti stia ad ascoltare, e chi sa come ti vedo; t'ascolto, ti rispondo, sono con te, ma dentro di me, anche altrove, nell'arbitrario delle mie sensazioni che non potrei comunicarti senz'apparirti veramente pazzo. Cammino, mi vedo le cose attorno, le posso toccare, le tocco, e non me ne viene pi n un pensiero n un sentimento, forse neppure pi una sensazione; le guardo e, dentro di me, i miei stessi pensieri, i miei stessi sentimenti, sono come ombre lontane; io stesso, lontano da me, perduto come in un esilio angoscioso. E puoi dire allora ch'io sto vivendo una vita cosciente? E ancora sono sveglio! E quando dormo? Met della vita si dorme. E poi sempre cos: tutto incerto, sospeso, volubile; vacilla tutto; la volubilit della vita non rispetta neanche i muri delle case nelle strade. E quando credi di esserti fatta una coscienza e hai stabilito che ogni cosa cos o cos, ci vuol cos poco a farti riconoscere che questa tua coscienza era fondata su nulla, perch le cose, quelle che tu credi pi certe, possono essere altre da quelle che credi; basta farti sapere una cosa, il tuo animo cangia, d'un tratto, addio coscienza, diventa subito un'altra, e hai un bel tenerti fermo a tutte le tue certezze di prima; dove sono? Io credo che quando ci saremo liberati della vita, forse la pi grande sorpresa che ci aspetter sar quella delle cose che non v'erano, che ci pareva vi fossero e non c'erano: suoni, colori; e tutto ci che vi sentimmo, e tutto ci che vi pensammo, e ce ne affliggemmo tanto o ne gioimmo tanto: tutto era niente; e la morte, questo niente della vita, come c'era apparsa; lo spegnersi di questo lume illusorio, caldo, sonoro e colorato, per migrare forse verso altre misteriose illusioni.

 

E la condanna che penser, dapprima, d'infliggere a se stesso sar il tentativo di liberarsi dalla prigione delle relazioni, di ci che solido e stabilito, delle abitudini , di vivere fuori, "l'esilio nel sogno, come il santo nel deserto, o l'inferno del vagabondo che ruba, che uccide la rapina del sole, di tutto ci che misterioso e fuori di noi, che non pi umano, dove la vita si brucia in un anno o in un mese o in un giorno, non si sa come". Ma ci che sta sopra l'atteggiamento di Vitangelo Moscarda e di Romeo Daddi il sentimento della morte che ricerca le cose nella "villa" straordinaria per morire e rinascere, creativamente, attimo per attimo. Le figure sorgenti in quest'incontro con le cose sono un desiderio degli occhi: lucciole, in ordine alla vita che continua.

Ecco, sul ponte accanto alla Scalogna, la "Dama rossa": appare come un "fantasma", dopo le parole di Cotrone, ma di carne e ossa, e vive stupida e sola per le campagne i suoi giorni liberi, senza un ordine; obbedisce naturalmente alle necessit essenziali, ignara per altro di tutto. In un appunto del 7 aprile 1929, Pirandello di lei scriveva, pi a lungo:

 

Una lezzona cenciosa, scema fin dalla nascita, cresciuta donna senza saperlo; me la ricordo per le strade del mio paese, misto il suo puzzo con quell'odore che vi facevano d'agosto le spazzature marcite. Eppure ancora i maschiacci, a vederle il collo bianco e il petto colmo, avevano lo stomaco di pigliarsela; e ogni tanto compariva dalle campagne gravida per le strade; e a chi la guardava con disgusto, sorrideva, non per impudenza, ma perch ancora non lo sapeva d'esser gravida, pur con quella sottana sbrindellata che, di dietro, spazzava il selciato, e davanti le si rizzava un palmo da terra; finch, presa dalle doglie cos per strada, si metteva a urlare come una bestia; due guardie la trascinavano all'ospedale, facendole levare pi alti quegli urli, tra la gazzarra dei monellacci che di dietro la spingevano: liberata, tornava ogni anno daccapo; perch forse l'esser pigliata cos ogni tanto da un uomo, nelle campagne, era considerata da lei cosa come le altre naturale, da cui non si potesse schermire.

 

La "villa" abitata dagli spiriti e per questo abbandonata dai padroni, fuggiti per terrore anche dall'isola: qui gli Scalognati "creano" fantasmi, per mezzo del loro corpo fanno vivere quelli che trovano in s, senza dover cercare lontano. A teatro invece l'attore presta il corpo, la voce, il gesto al personaggio. I fantasmi e i personaggi vivono, ma a patto di credere. E la villa piena di fantasmi vivi che si nutrono di una fervida immaginazione30. Per i teatranti naturale travestirsi ciascuno secondo una "parte", ma ora compaiono dinanzi alla villa come fantasmi, a un richiamo di Cotrone, il mago che inventa le verit e alla gente parso che dicesse bugie (cfr. n. 3, c). L'evocazione e l'apparizione degli attori-fantasmi paiono al Conte una carnevalata.

 

n. 7

 

"Potevo essere anch'io, forse, un grand'uomo, Contessa" E l'analisi della sequenza, con le parole di Cotrone che s'intrecciano con quelle di Doccia, il protagonista della vita come grazia, apre una strutturazione dinamica ricostruibile su due assi: l'uno contenente, con un procedimento di accenni e riprese, l'affermazione della "villa della mendicit", l'altro la negazione del "mondo". Si procede, insieme organando, sul piano sintagmatico e su quello paradigmatico.

Per Delia Morello la "citt" finzione, anche la semplicit che si tenta di rifare attorno, le fa dimenticare di essere stata un giorno bambina, l'ha costretta ai "salti mortali". E menzogna pu essere anche la morte quando si rappresentano cerimonie e si dice bene di chi ormai non pu far male a nessuno31. La ragione che la macchinetta della civilt che comprime in fondo alla coscienza la feccia di ogni pensiero e di ogni comportamento32 funziona per l'uso della corda civile, preferita alle altre due, la seria e la pazza33, in modo che tutti siano "dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi"34: e intervengono leggi e regolamenti a tenere a freno la mala bestia umana, a imporre a una donna di non amare altri che non sia il marito35, a un uomo di curarsi dei torti della propria moglie36. Per poter divenire una caricatura ambulante attraverso la menzogna37, sono necessarie le abitudini virtuose38, le qualit, di cui solo Leone Gala pu ridere Ma se la volont del singolo debole, per togliersi l'abito imposto dalla societ39, la natura talora da s si ribella e infrange ogni freno40. In genere "tutti disperdiamo ogni giorno o soffochiamo in noi il rigoglio di chi sa quanti germi di vita possibilit che sono in noi obbligati come siamo a continue rinunzie, a menzogne, a ipocrisie 41. E vivere tra gli altri la morte42. Cotrone ha lasciato il proprio corpo, per liberarsi della maschera aspirante a patenti di grandezza con l'osservanza di certe regole, all'ombra di talune parole essenziali per gli uomini importanti, "decoro, onore, dignit, virt, cose tutte che le bestie, per grazia di Dio, ignorano nella loro beata innocenza"43: il "fatto" pu essere un nome dato dalla gente come "pazzo", "imbecille", "Giud" o "Cotrone"44. E le parole, come i fatti, fissano la vita.

 

Mi ronzano intorno a le orecchie,

nel tedio, con suono confuso,

s come uno sciame di pecchie,

le vecchie

parole sconciate dall'uso.

                                  (Allegre XI)

 

Chi ascolta le intende a suo modo recanti l'animazione di chi parla, che tuttavia si vieta di esporre certi richiami d'immagini, perch altrimenti nessuno lo capirebbe. Gli occhi di un altro, per chi li guardi, sono come una porta in cui il mendico non pu entrare. Ma il "mondo" si ferma alle parole. "Con questo buffo nome": cos sembrava anche ad Amina Berardi di Piuma45 il proprio nome che strascicava sui fogli di carta bollata come uno scherzo e in cui gli altri dovevano veder lei. Il nome: un'iscrizione funeraria su una tomba che non altro contiene se non uno scheletro46. E Vitangelo Moscarda s'era proposto di abbandonare il proprio nome:

 

Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di jeri; del nome d'oggi, domani. Se il nome la cosa; se un nome in noi il concetto d'ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace e non se ne parli pi. Non altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La Vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest'albero, respiro tremulo di foglie secche. Sono quest'albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo.

(Uno, nessuno e centomila, cit. , p. 164)

 

Vitangelo Moscarda rifiuta anche di vedere allo specchio il proprio corpo in cui non si riconosce pi. Un corpo una forma che irrigidisce il flusso continuo della vita: e Lando Laurentano se lo guarda allo specchio nei particolari con antipatia come quello d'un estraneo e al Mattina la propria immane riflessa pare uno spettro (I vecchi e i giovani, cit. , p. 244 e p. 57). Per Cotrone:

 

Un corpo la morte: tenebra e pietra. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome.

 

La societ ha condannato gli Scalognati, che hanno trovato rifugio nella villa, dove:

 

Nessuno di noi nel corpo che l'altro ci vede; ma nell'anima che parla chi sa da dove; nessuno pu saperlo; apparenza tra apparenza

 

Un corpo come un "fatto" che in s non significa, n possibile penetrare nell'animo di chi parla47. Pirandello in un appunto del 1932 scriveva:

 

Mi guardo dall'intimit, non per sdegno, ma perch gli altri mi possano restar nuovi. Ecco per esempio Quaqueo mi resta davanti come una cosa buffa, da cui mi vengono continue sorprese, d'atti o di pensieri, che non pajon veri in uno come lui. E questo il bello. Vedere in ciascuno l'improvviso, ci che non par vero. Vinco ogni volta la tentazione di domandargli perch ha detto o fatto una tal cosa che m'ha sorpreso. Forse egli stesso non me lo saprebbe dire. Certo, a costringerlo, toccherei la pi misera delle disillusioni. Meglio restare estranei. Per vivere cos all'improvviso. Conoscersi morire.

 

Il sentimento della morte non ammette il compromesso con il "mondo", non consente di rimanere ignari protagonisti di un teatro di maschere. Il teatro sar vero, "creazione" incessante, quindi al di sotto della "coscienza". Evoca:

 

tutte quelle verit che la coscienza rifiuta (Cotrone)

 

E bisogna staccar da s il principio di ogni finzione, la metafora propria a ciascuno48, il pupo che ognuno vuole sia dagli altri rispettato49 e che gradualmente ritrova come ruolo offertogli dalla societ: nessuno pu credersi uno per tutti50. La "coscienza", che significa solo in relazione agli altri51, che implica sempre "gli altri dentro di noi"52, nasconde con il suo velo "l'antro della bestia"53, il "bene della vita"54. Chi alla "coscienza" si oppone e minaccia di dire a tutti con mente lucida la verit e denudarli, sferra cio la corda pazza, cacciato fino agli orecchi il berretto a sonagli, sputa in faccia alla gente quello che ha ingozzato per tanti anni nello stomaco, pone uno specchio chiaro dinanzi agli altri e abbatte ogni costruzione e ogni logica55, ritenuto "pazzo". Ma la societ degli uomini importanti, per salvar la "coscienza", ha bisogno di escludere sempre qualcuno e smania quando non riesce a scoprire dove sia la realt e dove il fantasma (Cos , se vi pare): l'usuraio Moscarda pu "impazzire", ma non essere incoerente con ci che lo si crede. E il "pazzo" il paziente che ha visto con occhi nuovi alla radice la malattia inguaribile dei maestri di medicine che gli hanno negato le loro cure per la considerazione che, s, si tratta di un "anormale" si scuote, come Martino Lori, del peso della beffa che altri gli gettava in faccia con compassione; si prende il gusto di apparire davvero ci che lo si crede, come Marta Ajala, Serafino Gubbio, Chiarchiare56; fa il fantasma, come l'Ignota per trovare "nella pazzia un estro di vendetta"57: Tutti" a un certo punto" si svegliano "pazzi"" come Enrico IV:

 

() preferii restar pazzo trovando qua tutto pronto e disposto per questa delizia di nuovo genere: viverla con la pi lucida coscienza la mia pazzia e vendicarmi cos della brutalit d'un sasso che m'aveva ammaccato la testa! La solitudine questa cos squallida e vuota come m'apparve riaprendo gli occhi rivestirmela subito, meglio, di tutti i colori e gli splendori di quel lontano giorno di carnevale (Atto III)

 

e contro la societ si dispongono a rappresentare, volontariamente, la commedia. Enrico IV aveva invitato a viverla, la commedia, anche i "segretari", ma questi non ne hanno avuto l'animo. E la "villa solitaria della campagna umbra" abitata dall'"imperatore" pazzo anticipa, ma non la Scalogna. Qui, ora che l'eternit s' sprofondata d'un tratto e si vive in un'infinita lontananza di sogno, si giuoca seriamente e spontaneamente: questo il teatro. Ma cos:

 

Non pi un giuoco, ma una realt meravigliosa in cui viviamo, alienati da tutto, fino agli eccessi della demenza58.

 

La libert come l'aria59, esposta ai venti e al sole, alle nuvole e ai lampi. E l'esperimento di un teatro libero non permette di inserirsi in un preciso ordine di vita, in un ingranaggio: i "pazzi" sono profondamente corrosi dalle deformazioni dello specchio della morte. Cos vengono incontro le verit, che non si cercano, ma si trovano60. E al n. 6 si diceva:

 

I fantasmi non c' mica bisogno d'andarli a cercare lontano: basta farli uscire da noi stessi.

 

Le verit di Cotrone nella Scalogna non danno pi "scandalo" al "mondo":

 

Ne inventai tante al paese, che me ne dovetti scappare, perseguitato dagli scandali.

Ci che poteva esser detto, qui si moltiplica in immagini dissolventisi l'una nell'altra, e nascenti dal segreto dei sensi e dalle caverne dell'istinto: qui l'"altra vita" di cui qualcuno fra gli atti quotidiani pu avere il sospetto61 o il timore62.

Ma l'"attivit" degli Scalognati non ha, semplicemente, il significato di una denuncia del "mondo", n di inaridimento nella solitudine presso l'angolo appartato lungo la via in cui appuntare piccoli sentimenti sotto luce di crepuscolo: la condizione umana progettata in un grado superiore di sperimentazione e di domanda.

 

Con questi miei amici m'ingegno di sfumare sotto diffusi chiarori anche la realt di fuori, versando, come in fiocchi di nubi colorate, l'anima, dentro la notte che sogna.

 

Ormai liberi dagli "impacci", gli Scalognati sono padroni di tutto:

 

DOCCIA. Non si pu aver tutto, se non quando non si ha pi niente. () Chi ti pu impedire il sonno, quando Dio che ti vuol sano te lo manda, come una grazia, con la stanchezza? Allora dormi, anche senza letto! () E solo quando non hai pi casa, tutto il mondo diventa tuo. Vai e vai, poi t'abbandoni tra l'erba al silenzio dei cieli; e sei tutto e sei niente e sei niente e sei tutto

 

Doccia per trent'anni ha mendicato il soldino "con cui gli uomini importanti si pagano il lusso della carit"63. E pi d'uno sono nelle opere di Pirandello i mendicanti cui soltanto riservato il privilegio del miracolo. Giud della novella Padron Dio (1898):

 

Sdrajato per terra, s'immergeva in quel silenzio e guardava i fili d'erba che si movevano appena, di tanto in tanto, a un alito d'aria; guardava qualche lucertola che si beava del sole sopra una pietra, e le farfalle bianche che volitavan sicure in tanta pace. () quasi covava con gli occhi quel suo grano: e nel veder l'aura avvivare di tremiti le tenere foglioline, tutta l'anima gli tremava (in "Una giornata", cit. , p. 52).

 

E Nzzaro di Fuoco alla paglia (1905):

 

Quando aveva guadagnato quattro soldi, o strigliando due bestie o accudendo a qualche altra faccenda, purch spiccia, Nzzaro diventava padrone del mondo. Due soldi di pane e due soldi di frutta. Non aveva bisogno d'altro (in "La vita nuda", cit. p. 99).

 

E Ciula (1912):

Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna E Ciula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, l, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva pi paura, n si sentiva pi stanco nella notte ora piena del suo stupore (in "Dal naso al cielo", cit. , p. 49).

 

Anche Micuccio Bonavino (1910) di una semplicit primitiva, di un candore senza compromessi, contro la "citt" finta e la speculazione organizzata della femminilit. Vitangelo Moscarda:

 

Ah, perdersi l, distendersi e abbandonarsi, cos tra l'erba, al silenzio dei cieli; empirsi l'anima di tutta quella vana azzurrit, facendovi naufragare ogni pensiero, ogni memoria! (op. cit. , p. 59).

 

E l'opposizione tra la "campagna" e la "citt" evidenziata anche dalle parole di Sara in Lazzaro64. Gli Scalognati hanno tutto perch non hanno niente: hanno il privilegio, con lo spirito fresco d'alba, di possedere l'inutile che apre loro una ricchezza senza limiti: la "villa" contro il mondo dell'utile, di ci che adoperato. Legati da piet vicendevole, una fortuna che alla fine, nell'isolamento, ritrovino in s i fantasmi65. Cos ricominciano. E al gioco credono come i bambini: il "loro" teatro, teatro libero dei mendicanti, degli esclusi, perci di provocazione e Cotrone il personaggio-regista. Come Enrico IV che vive la sua commedia e la sua vendetta nel mille e cento lontano dal tempo presente66, la Scalogna quanto mai "distante" dal "mondo":

 

Guardiamo alla terra, che tristezza! C' forse qualcuno laggi che s'illude di star vivendo la nostra vita; ma non vero.

 

n.8

 

L'arsenale delle apparizioni con quella luce innaturale rischiarante lo sfondo dell'"altra vita" in cui Ilse si trova ribaltata con la sua Compagnia. Qui non si riconosce pi, il corpo e la voce le sono estranei: le parole diventano ora crudeli, ostinata ripetizione di un rito teatrale vecchio e insignificante. Donata Genzi in Trovarsi (1932, Atto II) dice: "Io sono cos poco nel mio corpo". E la donna, nelle opere di Pirandello, sospesa fra l'istinto irrazionale e l'esigenza di purificazione, del fastidio del proprio corpo si sente libera solo sulla soglia di un cimitero in attesa dell'ingresso definitivo66 bis.

Il Conte inchioda gli occhi proprio sul corpo di Ilse per uno scambio d'amore in tanta rovina e vede in lei quella d'un tempo, la sola rimasta dopo la perdita di tutto: ma questo per Ilse la prigione. Il suo passato la morte. Come il corpo. Per liberarsi vorrebbe scapparsene o gridare "come una pazza"67. Ma il ricordo del passato viene inatteso da fuori67 bis. Cose lontane appaiono come un sogno: diverse. lo specchio: capovolge tutto quando si pone d'improvviso dinanzi e fa aprire gli occhi sul vero, congela ogni gesto68, spalanca il vuoto e il dubbio intorno all'esistere stesso, come a Martino Lori. Anche gli occhi degli altri possono essere specchio69, che in tal senso tende a identificarsi con la "coscienza". E la vita procede a lampi e a cantonate70 con l'accensione di un lanternino che si spegne appena si ricasca nel pantano dei fatti e dell'ordinario.

Il Conte rievoca quell'ultima volta che scesero, marito e moglie, la scala del loro palazzo, ossequiati. Ma sentire ancora il proprio corpo un miracolo in questa situazione di sogno: pure, la verit, ovvero la "pazzia":

 

E davvero non c' sogno, guarda, pi assurdo di questa verit: che noi siamo qua stanotte, e che questo sia vero. Se ci pensi, se ci lasciamo prendere, la pazzia.

 

In La signora Morli una e due (1922), Atto III, Evelina:

 

Vedersi un'altra? la pazzia.

 

E le pazze soltanto possono dire il vero71. La ricchezza del Conte ha operato l'avvento di questa povert: e pare che basti a Ilse che agli atti compiuti non vuole essere sospesa.

Un richiamo "culturale": la lettura della sequenza ricorda quella del primo incontro fra Irene quella di prima, morta e il Professore vivo in Quando noi morti ci destiamo (1899) di Ibsen.

Ilse e il Conte escono. La scena rimane vuota. Ormai sospesa tra sogno e realt. E ridono i fantocci che finora hanno assistito impassibili, come nella novella La paura del sonno (1900) in cui il Mago fa ballare (avverr qui al n. 9) i burattini e le marionette insieme con la gente che festeggia con lui la resurrezione della moglie :

 

Il popolo delle marionette, appeso su i cordini di ferro, par che assista atterrito dall'alto a questa scena, con gli occhi immobili nell'ombra della camera. I pulcinelli, senza berrettoncini, par che se li siano levati dal capo per rispetto verso la morta: i Florindi e i Lindori, senza parrucchine, pare che se le sieno strappate nella disperazione del dolore; soltanto i paladini di Francia, chiusi nelle loro armature di latta o di cartone indorato, ostentano un fiero disdegno per quell'umile morte non avvenuta in campo di battaglia; e i piccoli Pasquini, dalle folte sopracciglia dipinte e il codino argento sulla nuca, conservano la smorfia furbesca del sorriso che scontorce loro la faccia, come se volessero dire: "Ma che! ma che! La padrona fa per burla!" (in "La giara", cit. , p. 67).

 

Ma ecco la scena corale dell'apparizione dell'Angelo Centuno con la sua scorta: il sogno della Sgricia nella notte della Scalogna.

 

n. 9

 

ormai il "teatro del sogno": Diamante e Cromo sono stranamente vestiti degli abiti della "parte", e l'una crede d'avere inghiottito uno spillo, l'altro ha udito una musica celeste; Battaglia ha visto la povera scema, la "Dama rossa", ricevere un cofanetto luccicante da un nano; Spizzi va a impiccarsi per amore di Ilse e tutti dopo un minuto lo vedono pendere da un albero. I teatranti conservano i desideri e la loro quotidiana banalit, scoprono gradualmente di trovarsi nel sogno. Ma, ormai liberi del corpo, al giuoco prendono gusto e ballano con i fantocci che ai problemi sono estranei72.

E Pirandello, da bambino, era attento alle marionette, quando con Pinzone, il giorno dei morti, in Sicilia la festa dei fanciulli, girava per la fiera dei giocattoli:

 

Cos facevamo il giro della fiera; poi come quasi ogni anno, finivo per ritornare innanzi alla baracca dove si vendevano le marionette, ch'eran la mia passione. Ahim, ma anche l tra i Paladini di Francia e i cavalieri mori, lucenti nelle loro armature di rame e di ottone, esposti in lunghe file su cordini di ferro, ero costretto a scegliere, mentre avrei voluto portarmeli via tutti (La scelta in "Ariel", 1898).

 

n. 10

 

Muta il piano di realt e compaiono sulla scena, svegli, Ilse, Cotrone e il Conte. Lo spettacolo del prodigio della villa (n. 8, n. 9) e la meditazione (n. 10) significano che il procedimento simile a quello dell'atto precedente. Concresce, per, la "distanza".

I sogni nella notte sotto la luna vagano incoerenti, ma soltanto i poeti possono dar loro coerenza , quando la terra s' oscurata e manca la luce del giorno: e sono ricordi animantisi a modo loro nell'irrompere di immagini deformate, di nuovi fantasmi. Le parole del giorno si disperdono al calar delle tenebre e pi non significano, dopo che il tentativo di dialogare con il "mondo" s' chiuso nel nuovo isolamento e ha accresciuto un distacco: e ognuno ritorna in s "come un cane di notte alla sua cuccia dopo avere abbajato a un'ombra". L'attesa s' consunta nell'usuale rito quotidiano, nel commercio del necessario73. Gli uomini hanno paura del buio della notte che le illusioni della luce sospende e vanifica74 e pu manifestare il vero75. La vita oltre le cose che si sanno e cui nessuno va incontro spontaneamente per vederne il significato76. La verit oltre le "finzioni"77. E per vivere bisogna credere alla creazione nel suo ritmo incessante, non "sapere"78, credere nell'eterno presente della vita79.

Ne L'umorismo (op. cit. , p. 149) si legge:

Le barriere, i limiti che noi poniamo alla nostra coscienza, sono anch'essi illusioni, sono le condizioni dell'apparir della nostra individualit relativa; ma, nella realt, quei limiti non esistono punto. Non soltanto noi, quali ora siamo, viviamo in noi stessi, ma anche noi, quali fummo in altro tempo, viviamo tuttora e sentiamo e ragioniamo con pensieri e affetti gi da un lungo oblio oscurati, cancellati, spenti nella nostra coscienza presente, ma che a un urto, a un tumulto improvviso dello spirito, possono ancora dar prova di vita, mostrando vivo in noi un altro essere insospettato. I limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono limiti assoluti. Di l da quella linea vi sono memorie, vi sono percezioni e ragionamenti. Ci che noi conosciamo di noi stessi, non che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza, che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente.

 

In Momentanee IV:

 

E un fantastico stupor di sogni strani

ho negli occhi, e parmi al guardo

una luce fresca e mite alberghi il cielo

oltre i limiti visivi.

 

In Il fu Mattia Pascal (1904), cit. , p. 196, Anselmo Paleari:

 

Noi vogliamo scoprire altre leggi, altre forze, altra vita nella natura, sempre nella natura, perbacco! oltre la scarsissima esperienza normale; noi vogliamo sforzare l'angusta comprensione, che i nostri sensi limitati ce ne danno abitualmente.

 

Ne L'avemaria di Bobbio (1912) in "La rallegrata", p. 53:

 

Ci che conosciamo di noi per solamente una parte, e forse piccolissima, di ci che siamo a nostra insaputa. Bobbio anzi diceva che ci che chiamiamo coscienza paragonabile alla poca acqua che si vede nel collo d'un pozzo senza fondo. E intendeva forse significare con questo che, oltre i limiti della memoria, vi sono percezioni e azioni che ci rimangono ignote, perch veramente non sono pi nostre, ma di noi quali ora siamo, viviamo in noi, quali fummo in altro tempo, con pensieri e affetti gi da un lungo oblio oscurati in noi, cancellati, spenti; ma che al richiamo improvviso di una sensazione, sia sapore che colore o suono, possono ancora dar prova di vita, mostrando ancor vivo in noi un altro essere insospettato.

 

E in un "Foglietto" del 1934:

 

Ci che conosciamo di noi stessi non che una parte di quello che noi siamo.

 

A tutti accade di vedere in un momento straordinario la vita, le cose illuminate d'una luce diversa, di trovarsi specchiati in quell'attimo d'eternit e di obliare, per la forza del vero, la "finzione" e il peso della "coscienza"80. Il "protagonista che narra" di Rimedio: la geografia (1920) in "Scialle nero", cit. , p. 213, trova durante la notte, inopinatamente, come rimedio da opporre in ogni momento alla opprimente "realt" quotidiana, una vita diversa e lontana, indifferente alle presenti relazioni. Ogni uomo presume di controllare s e gli altri con l'occhio attento: ma forze imponderate, latenti, insorgono talora e stringono il singolo in una rete (v. Se, 1898; Nel gorgo, 1913)80 bis. E qualcuno come Bernardo Morasco (Il coppo, 1912) , sdraiatosi su l'erba d'un prato e perduto in un'infinita lontananza di sogno, ricorda cose di cui prima non aveva supposto l'esistenza: e i ricordi, alitanti d'improvviso in una pienezza di libert, sono di desideri "quasi prima svaniti che sorti", come per Donata Genzi (Trovarsi, 1932, Atto I). Cfr. Cotrone, n. 6:

 

Le figure non sono inventate da noi; sono un desiderio dei nostri stessi occhi.

 

Ma tutti di fronte alla scoperta del nuovo hanno la sorpresa di vedere per la prima volta, in un incontro originario, l'oggetto di una lunga attesa, di assistere all'ingresso, nell'orizzonte dell'esperienza, dell'"altra vita"81: le immagini si presentano in uno spettacolo di lucida significazione. Lo stato di grazia dei mendicanti e dei "pazzi" tenta la vittoria sulla morte, con l'adesione al ritmo creativo attualizzante della vita. L'ipotesi della Scalogna l'ipotesi progettata come "situazione" in opposizione dialettica dell'"altra vita".

 

Cotrone:

 

L'orgoglio umano veramente imbecille, scusate. Vivono di vita naturale sulla terra, signor Conte, altri esseri di cui nello stato normale noi uomini non possiamo aver percezione, ma solo per difetto nostro, dei cinque nostri limitatissimi sensi. Ecco che, a volte, in condizioni anormali, questi esseri ci si rivelano e ci riempiono di spavento. Sfido: non ne avevamo supposto l'esistenza! Abitanti della terra non umani, signori miei, spiriti della natura, di tutti i generi, che vivono in mezzo a noi, invisibili, nelle rocce, nei boschi, nell'aria, nell'acqua, nel fuoco.

 

Il popolo come gli antichi e come gli Scalognati negli spiriti ha sempre creduto e crede. E l'epifania del miracolo giunge senza stupire dopo il varco di ci che ritenuto naturale e possibile.

 

Cfr. Il turno (1895), cit. , p. 123:

 

Certe sere don Diego lo infastidiva parlandogli dei suoi angosciosi terrori, degli spiriti che popolavano le tremende insonnie delle sue aride notti.

Chi non li ha veduti, lo so, non ci crede Chi poi li ha veduti, caro don Pep, non ne parla, per paura che la notte non sia bastonato da loro. Perch, sapete? bastonano. Io, per dir la verit, finora non ho mai assaggiato le loro mani: ma quanti dispetti! tirarmi le coperte dal letto, rovesciarmi le seggiole nella camera, spegnermi il lampadino da notte E li ho veduti con questi occhi, vi giuro; tra le tende dell'alcova, per esempio, certe notti, affacciarsi una testa coi capelli rossi ricci e tanto di lingua fuori  

 

Il corvo di Mizzaro (1902) in "In silenzio", p. 180:

 

Cich ci credeva, e come! agli Spiriti. Perfino chiamare s'era sentito qualche sera, ritornando tardi dalla campagna, lungo lo stradone, presso le Fornaci spente: e i capelli gli s'erano rizzati sotto la berretta.

 

Enrico IV (1922), Atto II:

 

E io penso, Monsignore, che i fantasmi, in generale, non siano altro in fondo che piccole scombinazioni dello spirito: immagini che non si riesce a contenere nei regni del sonno: si scoprono anche nella veglia, di giorno: e fanno paura82.

 

Gli uomini non credono n agli spiriti n ai fantasmi. Dominati dall'orgoglio. Ognuno cerca di salvare la metafora di s83. Ecco un brano del 1907 della novella Dal naso al cielo, op. cit. , p. 17, vicinissimo alle parole sopra citate di Cotrone:

 

E il professor Dionisio Vernoni attacc subito col suo solito fervore; e cominci a parlare di occultismo e di medianiasmo, di telepatia e di premonizioni, di apporti e di materializzazioni: e agli occhi dei suoi ascoltatori sbalorditi popol di meraviglie e di fantasie la terra che l'orgoglio umano imbecille ritiene abitato soltanto dagli uomini e da quelle poche bestie che l'uomo conosce e di cui si serve. Madornale errore! Vivono, vivono sulla terra di vita naturale, naturalissima al pari della nostra, altri esseri, di cui noi nello stato normale non possiamo avere, per difetto nostro, percezione; ma che si rivelano a volte, in certe condizioni anormali, e ci riempiono di sgomento; esseri sovrumani, nel senso che sono oltre la nostra povera umanit, ma naturali anch'essi, naturalissimi, soggetti ad altre leggi che noi ignoriamo, o meglio, che la nostra coscienza ignora, ma a cui forse inconsciamente obbediamo anche noi: abitanti della terra non umani, essenze elementari, spiriti della natura di tutti i generi, che vivono in mezzo a noi, e nelle rocce, e nei boschi, e nell'aria, e nell'acqua, e nel fuoco, invisibili, ma che tuttavia riescono talvolta a materializzarsi.

 

Gli Scalognati, come i poeti, come i bambini, giuocano sul serio: ci che interviene spontaneo, trova nell'immaginazione la propria vita nascendo: e i personaggi sono veri, "vivi, cos vivi che lei pu vederli anche senza che ci siano corporalmente"84. Evocano immagini senza mai chiedersi per quale ragione siano nate. Credono allo spettacolo, che guardano con occhi fiduciosi85. E un bambino, come il protagonista di Il chiodo (1936), mentre la societ pretende di formulare nel tribunale un giudizio inequivocabile, pu seguire con l'immaginazione la bambina uccisa e tentare il giuoco.

 

A noi basta immaginare, e subito le immagini si fanno vive da s. Basta che una cosa sia in noi ben viva, e si rappresenta da s, per virt spontanea della sua stessa vita.

 

Il miracolo nella fantasia che proietta creature vive, fa che i fantocci diventino personaggi, si muovano e parlino:

Tradurli in realt fittizia sulla scena ci che si fa comunemente nei teatri.

 

E la rappresentazione sempre diversa dell'opera, come l'attore non il personaggio86. Il giuoco senza "finzione". Ma necessario dimettere ogni orgoglio e ogni curiosit nascenti dalla certezza delle istituzioni sicure87. Non si pu ridere della verit come fa la "gente istruita", a rischio di perderla.

E il solito teatro falso: la gente di mestiere non crede alle possibilit evocative della poesia, al suo potere di vita. Solo nella Scalogna la spontaneit consente di perpetuare l'incanto.

Il poeta della "Favola" ha immaginato le "Donne": e, certamente, egli le ha vedute88. Come si sentono nella Scalogna nelle notti d'inverno tempestose. Ed ecco la rappresentazione di uno stralcio della "Favola" e l'evocazione delle "Donne": Ilse ne atterrita. All'invito di Cotrone d'imparare dai bambini "che fanno il gioco e poi ci credono e lo vivono come vero", Spizzi, che poco prima era "curioso" di assistere al miracolo dell'apparizione dei personaggi e aveva detto agli altri di non lasciarsi abbagliare "come allocchi noi stessi che siamo del mestiere", oppone che bambini non possono essere. E nei Sei personaggi in cerca d'autore (1921), parte II, la Prima Attrice s'era rivoltata contro il Padre:

 

Ma che giuoco! Non siamo mica bambini! Qua si recita sul serio.

 

La villa il solo luogo in cui possibile rappresentare la "Favola". Ma Ilse vuole portarla in mezzo agli uomini. un giorno di festa per le nozze di Uma di Dornio e Lopardo d'Arcifa, delle due famiglie dei giganti della montagna, uomini resisi attraverso il lavoro e la produzione "duri di mente e un po' bestiali": l'ingegnosa macchina del loro potere li ha esaltati nell'orgoglio.

 

n. 11

 

Ecco il frastuono della cavalcata dei giganti con le loro grida selvagge: i teatranti tremano di paura. I giganti asservono il popolo al potere della ricchezza dell'utile e gli concedono ogni tanto come sfogo uno spettacolo.

Gi s'annuncia sullo sfondo il pantagruelico banchetto di nozze. Si svolger in modo pi orrendo che con quegli avventori che tracannano, nella grande festa, birra e liquori alla vita della Germania: Vecchio avviso, febbraio 1904 nella "Riviera ligure":

 

Parean giganti degli antichi miti.

Trenta. E dentro ai polmoni

tutto il vento del nord. Di loro tuoni

vedevo i pioppi tremare atterriti,

e le foglie cader come farfalle

morte, e uccelli cadere,

spennati questi dalle trombe fiere

e quelle fatte qual per verno gialle.

 

Il conflitto fra i teatranti e i giganti termina con la sconfitta del teatro. E contro il "mondo" in cui ogni parola di "piet" scompare, perch non significa89 l'ipotesi della Scalogna: per i mendicanti abitare sulla terra pu essere ancora un dono90. E ai "disgraziati" la morte non fa paura91.

Resta alla fine "un ulivo saraceno, grande in mezzo alla scena". Una notte di giugno Qualcuno v'era caduto vicino come una lucciola.

 

 

 

IV

 

L'aver percorso il testo nei diversi "momenti" fonda la possibilit di uno schema che, nel succedersi delle sequenze attraverso la funzionalit del linguaggio, indichi la determinazione del "tempo", dell'interno nucleo drammatico.

 

 

 

Gravido della meditazione e tendente sempre ad allontanarsi dalla "finzione", il linguaggio dei due atti per serbare la sua forza informativa si scarnifica sotto il controllo artistico e gravita attorno alla nuda essenzialit delle cose. Le riprese di temi, modi sono ricondotte nell'attuale discorso. E l'ambiente, che nella novellistica funzionale all'individuazione del personaggio, nella drammatica rappresentato da personaggi che, dialetticamente, pongono le loro ragioni, qui , di continuo, negato, ma conserva taluni riflessi soprattutto, qua e l, nel ruolo dei teatranti. Una costante opposizione dinamica anima internamente il discorso drammatico, che giunge al massimo di denuncia e di provocazione nei termini di un teatro aperto: il "mondo" disumano tocca, dell'alienazione, il fondo e la plebe dei giganti vuole fantocci per una carnevalesca burattinata, non il personaggio nel cui cielo sia intervenuto uno strappo e un problema abbia avuto origine. La "distanza" ha raggiunto il suo vertice. L'attivit della riflessione, che qui vaglia con la maggiore criticit i poteri stessi del teatro e, a un tempo, spinge pi a fondo l'interrogazione sulla vita, spiega il mutamento continuo dei piani di realt fra il fantastico, la "rappresentazione", il sogno e la "realt" , il "teatro del teatro", l'imponente coralit I giganti della montagna, opera incompiuta come il romanzo Adamo ed Eva, ma che include il segreto del suo crescere, significano l'incontro con Pirandello a un punto atteso, dopo tanta rivoluzione nella narrativa e nel teatro, sono l'ultima opera teatrale della tchne umoristica.

Il rapporto testo-rappresentazione non il nucleo centrale dell'opera. E i teatranti, con le loro banalit e le loro "scene", sono tutt'altro che gli ideali amanti dell'opera artistica: gli interventi disorganici e le discussioni erano ipotizzati dall'umorismo. Ilse non martire pura della sua missione, n eroina: lo specchio rivela anche a lei il vuoto dell'esistere e la "pazzia": s'impone la missione per superare la pena d'esser nata e il tormento di non trovarsi e condiziona al successo dell'opera fra la gente, alla ricerca di un pubblico il destino proprio e, in parte, quello dei suoi, ove gli attori di Questa sera si recita a soggetto soffrivano solo le conseguenze di sentire il "personaggio".

Comunicare con i giganti il problema degli uomini di mestiere: e falliranno il loro scopo per l'impossibilit di tale dialogo nel mondo dell'utile. Il problema degli Scalognati di vivere il teatro fra loro come attiva e improvvisa scoperta senza vedersi nel corpo e nel nome, cio attraverso il superamento della convenzione. La Scalogna non , semplicemente, l'affermazione del principio di naturalit, n il suo significato si esaurisce nella denuncia. Non si tratta di una vana "costruzione" compiuta per i propri sentimenti di fede di pochi uomini nella societ. Ma, crollate tutte le costruzioni, il trovarsi all'inizio ipotizzato come situazione. N evasione intesa come estatica o sentimentale o romantica fuga di pochi spiriti eletti dalla societ e dalle cure normali del volgo; ma "pazzia" consapevole di un distacco e creativa d'un teatro libero, con personaggi e fantasmi vivi, che tenta la verit e il suo incontro originario, in una lontananza ora remota dalla "finzione". Nella Scalogna il tentativo di un esperienziale accostamento al "flusso continuo": l'ipotesi dell'"altra vita". Far valere un'ipotesi sempre un atto di fede: qui progettata funzionalmente nell'opera. Ma fa parte del tentativo la negazione di ogni fede definita e ordinata in strutture dottrinali. Come pure l'assenza dell'automatismo psichico. Ed sempre il problema dell'interpretazione della vita a dare significato ad una ipotesi. Intanto, chi tenta sa che la volont debole1 sotto tanto deserto intorno e tanto peso: il volontarismo non pi possibile.

L'ipotesi umoristica ha offerto indicazioni utili alla comprensione del senso. Quando gli Scalognati o i teatranti si danno reciprocamente spettacolo, potrebbero far ridere, ma i loro problemi e le loro esperienze cos "poste" sono interrogativi sull'uomo, sulla funzione di ogni suo atto.

L'analisi ha sottolineato che il senso di mistero e di "miracolo" non sono ignoti al Pirandello dei saggi giovanili e, gi, delle prime opere. Ma neanche il mondo dei mendicanti e il sentimento della morte.

Se chi ha scritto queste pagine ha dovuto compiere preliminarmente una opportuna informazione storica, il discorso critico esclude come inadeguato alla poesia qualsiasi recupero "culturale".

 

L'accenno agli altri due miti e all'ultima narrativa pu ancora chiarire. 

gi La nuova colonia (1928). Lontani dalla societ impegnata nella difesa delle sue strutture, nell'isola sperduta e fuori del "mondo" i nullatenenti cercano il proprio posto: pure, occorre qualche istituzione, per quanto provvisoria. Le difficolt a proseguire spontaneamente la "nuova vita" denunciano accanto all'abitudine a vivere nella societ costituita, sia pure alle sue leggi non sottomessi del "mondo" l'insufficienza e la relativit: e la cattura dei pochi a opera del "mondo" ancora possibile. Currao a Padron Nocio:

 

Tutti i vizi della citt avete portato, e le donne, il danaro. La citt, la citt da cui eravamo fuggiti come dalla peste.

 

E la citt, quella vita che gli isolani cercavano spontanea, la rappresenta per burla. Si salva solo il sentimento elementare2.

La fede semplice di Tobba prima, per piet di s, poteva credere in Dio3 si corrompe e l'isola non pu rimanere nella sua solitudine.

Gli altri sono. E l'unico modo di vivere insieme di obliare la propria maschera e servire4.

Come Giud, Cico in Lazzaro (1929) stato "esattore di Dio" mendicante come lui. Tra la societ degli uomini importanti e la miseria. Avverte le contraddizioni di una fede stabile e imposta a tutti. Deodata che, tra gli agi, presta le sue cure a chi colpita da disgrazia, ritiene che la fede spontanea non debba imporsi. Diego Spina e Monsignore negano che la scienza abbia il potere di far risuscitare. Il "fatto" (la moglie di Diego in campagna) interpretato diversamente, tra chi riconosce ciascuno libero e responsabile della propria decisione e chi presume possibile di ogni atto il giudizio dell'autorit conforme alle rigide strutture in cui si determinata la fede. E il conflitto fra i protagonisti del "fatto" risalta in primo piano: Sara, madre che ama i figli, ha la gioia della vita che nasce a si sviluppa contro il sacrificio della carne fino alla consunzione in vista dell'al di l. S'impone il discorso sulla resurrezione incessante dalla morte (dialogo Sara - Lucio). Ed ecco la fede nell'"altra vita" come carit. Le parole di Lucio sono continuate da Monsignore, il cui ruolo drammatico cambia. Di fronte al miracolo Lazzaro "impazzisce"; dinanzi alla guarigione di Lia Cico il mendicante s'inginocchia. Morire per vivere: tentare l'"altra vita". Risorgere dalla morte per aderire con altri al "flusso continuo".

L'arte dell'ultimo periodo di sintesi potente. Anche la narrativa. La meditazione ruota intorno al nudo rapporto con le cose e il problema, senza perdere la sua forza, ridotto nei limiti di una esperienza essenziale. Scompare quasi del tutto, anche in chiave di interpretazione, l'accenno ai "fatti": il loro peso e quello delle istituzioni sono insignificanti per il tentativo di conoscere ormai senza bagagli. Ora che le "citazioni" si eliminano, ricorre il tempo dell'immediato, il presente. E un profondo silenzio d'attesa circonda ogni gesto che tenti il significato del reale. La purificazione avvenuta e il vuoto ora assoluto: vi interviene ogni tanto l'epifania delle cose e il sospetto della loro consistenza. Nell'unitario presente rapido il nesso dei "momenti" narrativi, sequenze continue di uno spettacolo che pu sembrare anche sogno: e non senza significato la ricorrenza del "protagonista che osserva". Sotto il suo occhio l'intrecciarsi dinamico di piani diversi si struttura attorno a un nodo essenziale.

E basti un esempio, significativo anche per l'intelligenza de I giganti della montagna: la novella Una giornata (1936). Il discorso qui si pone in seguito ad una analisi condotta solo sul piano sintagmatico.

Tre "momenti": la "realt", il sospetto del sogno, l'impossibilit di distinguere fra realt e sogno.

Ogni segno della frattura scomparso nel passato: "strappato dal sogno", "buttato fuori dal treno", "la violenza patita", "espulso". Era avvenuto tutto di notte, nel buio e nel silenzio e i primi gesti si compiono sotto i primi squallidi barlumi dell'alba. Chi si trova cos d'improvviso sulla terra nella tenebra di una stazione di passaggio, deserta, ed riuscito appena a intravvedere uno spettrale lanternino cieco subito scomparso, sulla vasta piazza livida, d'una citt deserta, di fronte alla stazione, non sa se l'espulsione stata per sbaglio. senza nulla. Nemmeno il ricordo dell'origine. Sbalordimento e stordimento. Ma non sa a chi rivolgere la domanda per sapere qualcosa: rimane solo il terrore del lanternino appena intravvisto. Ignota anche la citt: e atterriscono i passi mossi nel silenzio, come per impulso o per un'altra violenza. Ma, intanto, cosa fare e con quale compito? Il "protagonista che osserva" riesce a fatica a constatare la sua incertezza: ed gi tanto cresciuto. Fra lo "stupore", la "sorpresa", la "meraviglia", egli "perplesso", "sospeso", "estraneo", "come un intruso", pieno di orrore delle "ben regolate e utili abitudini". Gli altri invece sanno quello che fanno, sicuri di non sbagliare, "senza la minima incertezza". Mostrerebbero, "maraviglia", "riprensione", "indignazione", se un'espressione di stupore appena si manifestasse. Basta un lieve sforzo d'esser persuaso della comune certezza: e gi tutti salutano, hanno riguardo, esortano a non confondersi, perch "c' rimedio a tutto". Fingere "d'aver compreso" sufficiente alla preparazione dell'abito. Dopo il compromesso, gli altri remunerano. Il saluto e la casa: tanti vi hanno abitato e vi abiteranno. Ma non possibile pi la vanit: l'abito e la casa, regalo e prezzo di un involontario soggiorno, sono estranei. Accorgersene, significa poter guardare la vita ancora come bambini. La vita: pare uno scherzo, ma passata, "come stando affacciato a una finestra" (Il vitalizio, 1901, in "Il vecchio Dio"). Della morte si annunciano i segni.

Il procedimento anche in una meditazione poetica cos potente metonimico: stazione deserta / citt deserta; casa / mondo; odore che cova nei luoghi che hanno preso la polvere / viso di vecchio; fotografia / donna. Fin qui giunta la sperimentazione artistica di Pirandello, sostenuta dall'ipotesi umoristica.



1 Saggi, poesie e scritti vari, Milano 1965², p. 120.

2 Saggi, cit., p. 151;

  La trappola (1912) in "L'uomo solo", Milano 1929, p. 190. 

3 v. Rinunzia in "La critica", 8 febbraio 1896 (ora Saggi, cit., p. 1068;

Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Milano 1954, p. 125.

4 Arte e coscienza d'oggi (1893, Saggi, cit., p. 895; novella

  Pallottoline;

  Il fu Mattia Pascal, Milano 19648, pp. 13-14.

  Berecche e la guerra, Milano 1960³, p. 32.

5 Arte e coscienza d'oggi, p. 906. 

6 v. rivista "Ariel", n. 10-11 (1897-1898):

"Con lo studio delle parole ormai distrutto il concetto dell'esistenza assoluta e soprannaturale delle idee. Noi non abbiamo della vita un'idea, una nozione; abbiamo un sentimento, mutabile e vario, a seconda dei casi e della fortuna. Da questo sentimento nasce l'idea e quando comune quello, comune diviene anche questa, diviene cio entit astratta che ha per radice, sempre, in un fatto concreto (). Ben per questo l'originalit non consiste nell'idea che comune, bens nel sentimento concreto e particolare che noi abbiamo di questa idea: sentimento che pu anche trasformar l'idea, farle acquistare un nuovo valore e impegnarla tanto di s da farle partorire una nuova idea, che diverr comune, se il sentimento nostro generatore avr virt di destare un accordo di sentimenti, una comune intesa".

Poi nel saggio su L'umorismo: 

"L'artista, il poeta, deve cavar dalla lingua l'individuale, cio appunto lo stile. La lingua conoscenza, oggettivazione; lo stile il subiettivarsi di questa oggettivazione. In questo senso creazione di forma; , cio, la larva della parola in noi investita e animata dal nostro particolar sentimento e mossa da una particolar volont. Non dunque creazione ex nihilo. La fantasia non crea nel senso rigoroso della parola, non produce cio forme genuinamente nuove". (Saggi, cit., p. 53.

7 "Ariel", cit.:

   "Tutto insomma in questo libro fattura, che rivela s una grande scioltezza di mano; ma l'agile abilit limitata a un esercizio ristretto di motivi voluti, senza libert di scelta. L'arte limpida e chiara per se stessa, che noi amiamo, lontanissima. Siamo innanzi a un lavoro fatto (). E noi vogliamo che l'opera d'arte nasca, nasca spontanea, crisalide dal bruco d'un pensiero, alata di fantasia, vibrante d'ispirazione". Cfr. anche Saggi, cit., p. 49. 

8 v. Vexilla regis (1897), in "Il viaggio", Milano 1928, p. 179: "Scusa, si reggono i sacchi vuoti? No; e cos i fatti, se tu li vuoti degli affetti, dei sentimenti, di tante cose che li riempivano"; 

L'esclusa (1893-1901), Milano 1962², p. 62;

Sei personaggi in cerca d'autore (1921), parte I, parole del Padre;

Vestire gli ignudi (1922), atto III;

Il gioco delle parti (1918), atto I, Leone Gala:

"La colpa del fatto, caro mio! Sono nato. E quando un fatto fatto, resta l, come una prigione per te. Io ci sono. Ne dovrebbero tener conto gli altri, almeno per quel poco, di cui non posso fare a meno, dico d'esserci. L'ho sposata; o, per esser pi giusti, mi son lasciato sposare. Fatto anche questo: prigione!".

9 L'umorismo, Saggi, cit., p. 152;

  L'esclusa (1893-1901), cit. p. 144;

  La ragione degli altri, atto I, Guglielmo.

  Ciascuno a suo modo, atto I, Delia Morello. 

10 cfr. I vecchi e i giovani (1913), Milano 1966², p. 395.

11 Notizie del mondo (1901), in "L'uomo solo", Milano 1929, p. 224: "Questa crudelt di riso, anzi, tanto pi sincera, quanto e dove pi sembra voluta, perch appunto strazia prima degli altri me stesso, l dove esteriormente si scopre come un giuoco ch'io voglia fare, crudele. Parlando a te cos, per esempio, di tutte queste amarezze, che dovrebbero esser tue, e sono invece mie";

    Tra due ombre (1907), in "La mosca", Milano 1923, p. 220: "Pensava e rideva, rideva. Ma come una lumaca sul fuoco";

    Ma non una cosa seria (novella, 1910) in "La giara", Milano 1927, p. 155: "Ma quelle che per i lettori sarebbero risa, sono state purtroppo lacrime, lacrime vere per il povero Perazzetti, e rabbie e angosce e disperazione";

    I vecchi e i giovani, cit., p. 297:

"Corrado Selmi rise, e avvert ancora lo sforzo che gli costava lo scomporre la truce espressione del volto in quel riso orribile. Il sorriso schietto e lieve, che aveva accompagnato sempre tutti gli atti della sua vita, anche i pi gravi e i pi rischiosi, s'era tramutato in quella triste smorfia dura e amara? Ebbe di nuovo paura di s: paura di assumere coscienza precisa di un certo che oscuro e orrendo che gli s'era cacciato all'improvviso nel fondo dell'essere e glielo scompaginava, dandogli quell'impressione di essere come squarciato dentro, irrimediabilmente. E per ricomporre comunque la compagine del suo essere, per vincere il ribrezzo e l'orrore di quelle impressioni, si guard attorno, quasi chiedendo sostegno e conforto ai noti aspetti delle cose. Gli parvero anche questi cangiati e come evanescenti. Sent con terrore che non gli era pi possibile ristabilire una relazione qual si fosse tra s e tutto ci che lo circondava";

    Candelora, Milano 1928, p. 10: "Ridere di tutte le cose nate male, che restano a penare nelle lor forme sgraziate o sconce, finch col tempo non crollano in cenere. Ogni cosa porta con s la pena della sua forma, la pena d'esser cos e di non poter pi essere altrimenti".

    Ciascuno a suo modo (1924), atto II, Diego Cinci: "Rido Ma io rido cos: e il mio riso ferisce prima di tutti me stesso".

12 La tragedia di un personaggio (1911) in "L'uomo solo", Milano 1929, p. 238: "I personaggi delle mie novelle vanno sbandendo per il mondo che io sono uno scrittore crudelissimo e spietato. Ci vorrebbe un critico di buona volont, che facesse vedere quanto compatimento ci sia sotto a quel riso".

13 La carriola, in "Candelora", Milano 1928, p. 201.

14 Allegre, VI.

15 La trappola (1912),  in "L'uomo solo", Milano 1929, p. 190.

16 Diario dei personaggi (1925-32), Almanacco letterario Bompiani, 1938; 

Guardando una stampa (1906), in "La giara", cit., p. 50.

17 Sopra e sotto (1914), in "La rallegrata", Milano 1965², p. 117. 

18 I pensionati della memoria (1914), in "Donna Mimma", Milano 1951, p. 131.

19 Il vecchio Dio (1901), Milano 1955², p. 10;

Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915, Milano 1954, parole di Simone Pau, p. 84.

20 Notizie del mondo (1901)

in "L'uomo solo", cit. p. 226;

Il fu Mattia Pascal (1904), Milano 19648, p. 142.  

21 Da s (1913). 

22 I vecchi e i giovani, cit., p. 96 e p. 354.

23 Sole e ombra (1896) in "La rallegrata", cit., p. 50.

Taccuino di Bonn (1889-93): "La morte! e non saper pi nulla. Uscire da questo sogno. E pure spaventoso morire" (Saggi, cit. , p. 1227).

24 Il marito di mia moglie, in "Tutt'e tre", Milano 1964³, p. 61.  

25 I pensionati della memoria, in "Donna Mimma", cit. , p. 133.

La vita che ti diedi, Milano 19633, atto I, Donn'Anna Luna.,

26 Colloqui coi personaggi, con la madre, "Giornale di Sicilia, 17-18 agosto 1915.

27 Il fu Mattia Pascal, cit., p. 66.

28 L'esclusa, cit. , p. 201: "Egli tacque, impallid, contemplando la madre. L'idea della morte, manifestata da Marta, assunse allora, subito, dentro di lui una terribile immagine. Premendosi le tempie con le mani, usc dalla camera".

29 L'umorismo: "() proprio dell'umorista, per la speciale attivit che assume in lui la riflessione, generando il sentimento del contrario, il non saper pi da quel parte tenere, la perplessit, lo stato irresoluto della coscienza" (Saggi, p. 145).

30 Avvertenza a Il fu Mattia Pascal, cit. , p. 301. 

31 L'umorismo, Saggi, cit. p. 48.

Prefazione ai Sei personaggi in cerca d'autore (1921): "Odio l'arte simbolica, in cui la rappresentazione perde ogni movimento spontaneo per diventar macchina, allegoria; sforzo vano e malinteso, perch il solo fatto di dar senso allegorico a una rappresentazione d a veder chiaramente che gi si tien questa in conto di favola che non ha per se stessa alcuna verit n fantastica n effettiva, e che fatta per la dimostrazione di una qualunque verit morale. Quel bisogno spirituale di cui io parlo non si pu appagare, se non qualche volta e per un fine di superiore ironia (com' per esempio nell'Ariosto) di un tal simbolismo allegorico. Questo parte da un concetto, anzi un concetto che si fa, o cerca di farsi, immagine; quello cerca invece nella immagine, che deve restar viva e libera di s in tutta la sua espressione, un senso che gli dia valore".

E in Sincerit e arte (1897): "Per me il mondo non solo un'idealit, non cio limitato all'idea ch'io posso farmene: fuori di me, il mondo esiste per s e con me; e nella mia rappresentazione io debbo propormi di realizzarlo quanto pi mi sar possibile, facendomene quasi una coscienza, in cui esso viva, in me come in se stesso; vedendolo com'esso si vede, sentendolo com'esso si sente. E allora pi nulla di simbolico e di apparente per me, tutto sar reale e vivente. E non far pensare, sentire, parlare, gestire gli uomini a un modo, cio a modo mio, come fanno gli scrittori che tu, secondo me, hai il torto di prediligere; ma a ciascuno m'ingegner di dar la sua voce, e a ogni cosa il suo aspetto e il suo colore: la sua vita insomma non la mia maniera, lo stile attemprando al soggetto, guardando senza gli occhiali del pregiudizio, domando l'ingegno con l'esperienza. E allora soltanto mi parr di esser sincero".

32 cit., p. 55. 

32 bis La tragedia di un personaggio (1911), in "L'uomo solo", cit. p. 237:

"Io ascolto tutti con sopportazione; li interrogo con buona grazia; prendo nota dei nomi e delle condizioni di ciascuno; tengo conto dei loro sentimenti e delle loro aspirazioni. Ma bisogna anche aggiungere che per mia disgrazia non sono di facile contentatura. Sopportazione, buona grazia, s; ma esser gabbato non mi piace. E voglio penetrare in fondo al loro animo con lunga e sottile indagine".

33 Amicissimi (1905), in "Scialle nero", Milano 1961³:

"Gigi Mear ebbe la consolazione di trovarsi tra le braccia d'uno sconosciuto, suo intimo amico, a giudicarne dalla violenza con cui si sentiva baciato, l, l, sul fazzoletto di seta che gli copriva la bocca" (p. 188);

"Non lo dire, Gigione! So io che sforzi faccio certi momenti a tenermi ritto su due gambe soltanto. Credi, amico mio: a lasciar fare alla natura, noi saremmo, per inclinazione, tutti quadrupedi Questa maledetta civilt ci rovina!" (p. 190). Sole e ombra (1896), in La rallegrata", cit. , p. 31: 

"E s'era procurato, per mezzo dell'inserviente dell'Istituto chimico, alcuni pezzetti cristallini d'anidride arseniosa. Con quei pezzetti in tasca, era anzi andato a confessarsi".  

34 Lontano (1902), in "La mosca", Milano l923, p. 136:

"Eppure quel povero diavolo era riuscito a non morire! Doveva essere a prova di bomba, se non ci aveva potuto neanche il medico del paese, che aveva tanto buon cuore e tanta carit di prossimo da ammazzare almeno un concittadino al giorno. Non diceva cos, perch in fondo volesse male a quel povero straniero; no, ma porco diavolo! esclamava don Pietro chi pi poveretto di me?.

35 La cassa riposta (1907), in "L'uomo solo", cit. , p. 18:

"Come custode di cimitero, Nocio Pmpina, detto Sacramento, era l'ideale. Gi cominciamo: una larva, che la portava via il fiato; e certi occhi chiari, spenti; una vocina di zanzara Pareva proprio un morto uscito di sotterra per attendere, cos come poteva, alle faccende di casa";

Il vitalizio (1901), in "Il vecchio Dio", Milano 1955², p. 134: "Alcuni, principio, si erano messi a forzarlo, ma poi, pregati dal notaio, avevano smesso. La festa non era per lui; era per gli altri; egli rappresentava l solo i cento anni: i cento anni che non volevano dire pi nulla. A pensarci, veramente, tutta quella baldoria, era nella sua sguaiataggine, cos triste da far cascare le braccia e il fiato. E per giunta si volle che il vecchio parlasse, facesse un brindisi, dicesse almeno due parole. Tanto insistettero, che alla fine lo fecero levare in piedi, col bicchiere che gli tremava in mano";

La toccatina (1906), in "La vita nuda", Milano 19644, p. 24:

"La morte, passando e toccando, aveva fissato cos la maschera di quell'uomo. Egli doveva aspettare con quel volto, con quegli occhi, con quell'aria di spaurita sospensione, ch'ella ripassasse e lo ritoccasse un tantino pi forte per renderlo immobile del tutto e per sempre".

36 Adriano Meis non pu vivere la sua vita nuova senza la cappa di piombo della menzogna che lo spinge per necessit a una seconda "morte", a essere nel paesello, fra gli altri, almeno l'ombra di un morto. E Vitangelo Moscarda: "Mi corse per la schiena il brivido d'un ricordo lontano: di quand'ero ragazzo, che andando sopra pensiero per la campagna m'ero visto a un tratto smarrito fuori di ogni traccia, in una remota solitudine tetra di sole e attonita; lo sgomento che ne avevo avuto e che allora non avevo saputo chiarirmi. Era questo: l'orrore di qualche cosa che da un momento all'altro potesse scoprirsi a me solo, fuori della vista degli altri". 

(Uno, nessuno e centomila, Milano 1964², p.108).

37 La trappola, in "L'uomo solo", cit. , p. 193.

38 Berecche e la guerra (1914), Milano 1960, p. 46: "In realt non sente nulla. Piange, s forse, ma come un commediante su la scena, per l'idea soltanto del suo dolore, non perch lo senta. Si figura di sentirlo e lo d a vedere. Che c' da spaventarsi se dice cos? La prova pi convincente questa: che egli ragiona, ra-gio-na; in grado ora di ragionare perfettamente, perfettissimamente".

39 E gi nel 1899 Pirandello avvertiva la validit dell'ipotesi umoristica sul teatro, nell'articolo citato, L'azione parlata: " () lo stile, l'intima personalit di uno scrittore drammatico non dovrebbe affatto apparire nel dialogo, nel linguaggio delle persone del dramma, bens nello spirito della favola, nell'architettura di essa, nella condotta, nei mezzi di cui egli si sia valso per lo svolgimento".

40 M. APOLLONIO, Storia del teatro italiano, Firenze 1950, vol. IV, cap. XI, p. 349. E gi nel 1917 Pirandello aveva chiara l'idea in una lettera al figlio Stefano del 23 luglio:

" una stranezza cos triste, cos triste: Sei personaggi in cerca d'Autore: romanzo da fare. Forse tu intendi. Sei personaggi, presi in un dramma terribile, che mi vengono appresso, per essere composti in un romanzo, un'ossessione, e io non voglio saperne, e io che dico loro che inutile e che non m'importa di loro e che non m'importa pi di nulla, e loro che mi mostrano tutte le loro piaghe e io che li caccio via e cos il romanzo da fare verr fuori fatto".

41 Si noti, fra gli altri, la funzionalit di Serafino Gubbio nel romanzo omonimo (1915): "protagonista che narra"; "macchina"- che- gira- la manovella; osservatore impassibile di passioni di personaggi che hanno trovato svolgimento nei "fatti" passati e presenti. La tecnica narrativa anticipava la rivoluzione teatrale.

42 op. cit. , p. 346.

43 Il professor Terremoto (1910), in "L'uomo solo", cit. , p. 69. Cos Pirandello rispondeva al saggio "L'umorismo" di Luigi Pirandello in "La critica" (1909) di B. Croce. Ma anche il Borghese vedeva Pirandello privo d'idealit e definiva la sua arte come "realismo clinico" (in La vita e il libro). 

44 L'Attrice Caratteristica: "Quando si vive una passione, ecco il vero teatro; e basta allora un cartellino!" (Atto III).

 

1 Il nome si trovava in Arte e coscienza d'oggi, "La nazione letteraria", Firenze, anno l, n. 6, sett. 1893 (ora Saggi, cit., p. 903):

() essi invocano Ilse, la fata amica, che nel castello alpino premeva le candide mani su gli occhi del suo principe, perch questi col corpo reclinato sul seno di lei non udisse il suon delle trombe che lo chiamava alla battaglia.

2 in Trovarsi (1932), commedia contemporanea alla stesura de I fantasmi, Atto I, Sal, a proposito di Donata Genzi:

La gallina la morale comune, borghese, con tutti i suoi preconcetti e pregiudizi. Si giudica dalla professione: un'attrice!

3 cfr. Tutto per bene (1920, Atto III, Martino Lori:

"Ma una donna, quando bella Le si guardano gli occhi, la bocca Come fatta E si sorride, a quelle labbra che parlano, senza badare a ci che dicono. Se n'accorgeva subito, lei, e se ne stizziva; ma poi donna sorrideva di quello stesso sorriso di chi le guardava le labbra Ci che voleva dire rispondere al bacio che quegli occhi le davano".

La signora Morli una e due (l922), Atto II, Evelina: "Pu sempre, in qualche momento, a una donna non brutta capitare: () che so! Di vedersi guardata da qualcuno con una strana insistenza e colta all'improvviso turbarsene; sentendosi ancora bella compiacersene Si pu, senza che paja di commettere una colpa, in quell'istante di turbamento o di compiacenza, carezzar col pensiero dentro di s quel desiderio suscitato; immaginare cos, come in sogno, un'altra vita, un altro amore Ma poi basta! La vista delle cose attorno, un minimo richiamo della realt".

Pubert (1926), in "Il viaggio" Milano 1928, p. 54:

"Gi con quella prontezza che hanno le donne  a capire da uno sguardo che s' fatto un pensiero su loro, se un uomo la guardava per via, abbassava subito gli occhi".

Appunti (1929): "Che prontezza hanno le donne a capire che s' fatto un pensiero su loro!".

Lazzaro (1929), Atto II, Sara:

"Quando, disperata, lasciai la casa e venni qua, sapevo, m'ero accorta che sotto la piet di lui c'era gi un sentimento per me () una donna fa presto ad accorgersene".

 

 

 

4 cfr. Trovarsi (1932), Atto II, Elj:

"E non si pu vivere cos come in vacanza? senza bisogno di crearsi nulla? A caso com' vero come tu sei vera come io sono vero che ci viene all'improvviso di scapparcene e piantiamo qui tutto (). La vita come ti si presenta come viva senza bagagli "

I piedi sull'erba (1934), in "Berecche e la guerra", cit. , p. 105: "Eppure strano! del disprezzo in cui con essi si vede caduto, non riesce ad aversi a male; non solo perch ammirando le stanze rimesse a nuovo, prova pure una bella soddisfazione per il figlio; ma anche in fondo per un altro sentimento che non gli ancora ben chiaro, di un'altra vita che, con la prepotenza degli aspetti nuovi, cos tutta lustra e colorita, ha cancellato perfino il ricordo della vecchia. Un che di nuovo che pu anche rinascere in lui, di nascosto Senza farsene accorgere, lo intravvede come dallo spiraglio luminoso e sconfinato d'una porta che gli si sia aperta alle spalle, donde potrebbe sparire, cogliendo un'occasione ormai facile, visto che nessuno pi si cura di lui, lasciato come in vacanza nell'ombra delle stanzette di l "per fare il comodo suo". Si sente pi che mai leggero. E gli venuta negli occhi una luce che, ricolorandogli tutto, lo fa passare di maraviglia in maraviglia, veramente come se fosse ridivenuto bambino. Gli occhi, come li aveva da piccolo. Vispi. Aperti su un mondo che gli par nuovo. (). Ricominciare la vita cos, coi bambini, sull'erba dei prati".

Il brano vicino alla condizione della Scalogna. E subito dopo: "Chi sa che delizia immergere i piedi nel fresco di quell'erba nuova! Si prova a liberare un piede anche lui, di nascosto; sta per slacciare la scarpa dell'altro, allorch gli sorge davanti tutt'accesa in volto e con gli occhi fulminanti una giovinetta che gli grida: "Vecchio porco!" riparandosi subito con le mani le gambe, poich egli la guarda da sotto in su e i cespugli le hanno un po' sollevato il vestitino davanti". La novella risulta umoristica.

5 Il protagonista di Notizie del mondo (1901) in "L'uomo solo", cit. , p. 208:

"Pi vado avanti, io, e pi odio la societ e la civilt".

E Chirchiaro ne La patente (1911), in "La rallegrata", cit. , p. 144:

"() ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanit, che veramente credo d'avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta una intera citt".

6 Il fu Mattia Pascal, cit. , p. 192, Anselmo Palegari.

7 Chi la paga in "Dal naso al cielo" Milano 1951², p. 51. Protagonista: zio Neli Sghembri.

 

8 Il piacere dell'onest, Atto I, Maurizio Setti. 

 

9 cfr. All'uscita (1916), il filosofo:

" () storia vecchia codesta. Dico del bisogno che ha la vita di fabbricare una casa ai suoi sentimenti. Non basta ai vivi averli dentro, nel cuore, i sentimenti: se li vogliono vedere anche fuori, toccarli; e costruiscono loro una casa. Fuori, dove naturalmente chi ci sta? Nessuno".

10 La terminologia qui tratta da un'interessante distinzione contenuta in Teatro nuovo e teatro vecchio (1922): " naturale che ogni espressione raggiunta, mondo creato, a s, unico e senza confronti, che non pu essere pi n nuovo n vecchio, ma semplicemente "quello che ", in s e per s in eterno, trovi in quella sua stessa "unicit" le ragioni: prima, della sua incomprensione; e poi, e sempre, della sua spaventosa solitudine: la solitudine delle cose che sono state espresse cos, immediatamente, come vollero essere, e dunque "per se stesse". E per questo solo fatto sarebbero inconoscibili, come sono, se ciascuno, volendo conoscerle, non le facesse uscire da quell'essere "per se stesse", facendole essere per lui, cos com'egli le interpreta e le intende".

11 Lontano (1902), in "La mosca", cit. , p. 141: "E com'era restato una sera, nel silenzio, alla vista della luna, nel vano della finestra! Era pure, era pure la stessa luna ch'egli tante volte in patria, per mare, aveva veduta; ma gli era parso che l, in quel paese ignoto, ella parlasse ai tetti di quelle case, al campanile di quella chiesa, quasi un altro linguaggio di luce, e l'aveva guardata a lungo, con un senso di sgomento angoscioso, sentendo pi acuta che mai la pena dell'abbandono, il proprio isolamento;

In silenzio (1905), cit. , p. 15: " Non trov nulla. Solo quel nome! Solo questa notizia: che il padre di quel bimbo si chiamava Alberto. E suo padre, Cesare Due nomi; nient'altro. E lei, di l, morta. E tutti quei mobili della casa, inconsapevoli, impassibili";

Guardando una stampa (1906): "Le cose, come sono, nessuno lo pu sapere. Cos mi consolo io. Tu dici qua. S: ci sono tante cose perch tu le vedi, mentre io no. Ma come sono, tu che le vedi, mica lo sai meglio di me" (in "La giara", cit. p. 49);

Niente in "La mosca", cit. , p. 236: "La luna rischiara il vano di quella finestra. Nella notte alta, la luna. Il dottor Mangoni se la immagina, come tante volte, errando per vie remote, l'ha veduta, quando gli uomini dormono e non la vedono pi, inabissata e come smarrita nella sommit dei cieli";

Un ritratto (19l4), in "Candelora" Milano 1928, p. 129: "Non stavano certo ad aspettar nessuno quei mobiletti in quel salottino appartato e sempre chiuso. E il senso di pena, con cui li guardavo, me li faceva ora sembrare intorno come stupiti di vedermi tra loro; non ostili, ma neppure invitanti"; 

La rosa (1914), in "Candelora", cit. , p. 79: "Da anni e anni Fausto Silvagni con quei suoi occhi intenti e tristi guardava come da lontano ogni cosa; come remote ombre evanescenti gli aspetti vicini; e dentro di s, i suoi stessi pensieri e i suoi stessi sentimenti";

Pena di vivere cos (1920), in "In silenzio", cit. , p. 291: "N un male, n un bene. Tutto per lei ormai come lontano. Anche le cose pi vicine. Basta che per un istante le senta vive in s, e subito le diventano lontane".

12 La trappola (1912), in "L'uomo solo", cit. , p. 191: "Tu non puoi immaginare l'odio che m'ispirano le cose che vedo, prese con me nella trappola di questo mio tempo; tutte le cose che finiscono di morire con me, a poco a poco! Odio e piet! Ma pi odio forse che piet".

13 Notte (1912), in "La rallegrata", cit. , p. 157: "Guardando entrambi nella notte, sentivano ora che la loro infelicit quasi vaporava, non era pi di essi soltanto, ma di tutto il mondo, di tutti gli esseri e di tutte le cose, di quel mare tenebroso e insonne, di quelle stelle, sfavillanti nel cielo, di tutta la vita che non pu sapere perch si debba nascere, perch si debba amare, perch si debba morire".

14 La cattura (1918), in "La giara", cit. , p. 17: "Deserto ormai come quello stradone era ai suoi occhi tutto il mondo; e di cenere come quell'aria della prima sera, la sua vita. I rami degli alberi sporgenti senza foglie dai muretti di cinta crepolati, le alte siepi di fichi d'India polverose e, qua e l, i mucchi di bucciole che nessuno pensava di stendere su quello stradone, tutto solchi e fosse, se il Guarnotta li guardava, in quella loro immobilit e in quel silenzio e in quell'abbandono, gli parevano oppressi come lui da una vana pena infinita. E a crescere questo senso di vanit, come se il silenzio si fosse fatto polvere, non si sentiva neanche il rumore dei quattro zoccoli dell'asinella".

15 La veglia (1904), in "In silenzio", cit. , p. 199: "Nel silenzio, gli oggetti della camera, le tende, la candela che ardeva sul cassettone, riflessa nello specchio, parve al Gelli che assumessero, nella immobilit loro, sentimento di vita e fossero come sospesi in una attesa angosciosa. Impressionato dalla lucidezza di questa sua percezione, in quel momento, si distrasse: guard in giro la camera, come per far la conoscenza di quegli oggetti che cos, in un paese lontano, a lui ignoto, erano testimoni di quel triste imprevedibile avvenimento della sua vita";

Pena di vivere cos (1920), in "In silenzio", cit. , p. 262, inizio della novella: "Silenzio di specchio. E la fresca lindura di quelle tendine di mussola alle finestre. E quest'odore di cera ai pavimenti. Da undici anni cos, la casa della signora Leuca.

Ma ora s' fatta nelle stanze come una strana sordit. I chiari arredi, i lucidi mobili par che stiano sospesi in uno sgomento d'attesa, alla notizia incredibile";

La camera in attesa, in "Candelora", cit. , p. 31: "Si d pur luce ogni mattina a questa camera, quando una delle tre sorelle a turno viene a ripulirla senza guardarsi attorno. L'ombra, tuttavia, appena le persiane e le vetrate della finestra sono richiuse e raccostati gli scuri, si fa subito cruda, come in un sotterraneo; e subito, come se quella finestra non sia stata aperta da anni, il crudo di quest'ombra s'avverte, diventa quasi l'alito sensibile del silenzio sospeso vano sui mobili e gli oggetti, i quali, a lor volta, par che rimangano sgomenti, ogni giorno, della cura con cui sono stati spolverati, ripuliti e rimessi in ordine".

16 Nell'albergo morto un tale, in "Candelora", cit. , p. 214.

17 L'ombra del rimorso (1914), in "Tutt'e tre", Milano 1964³: "Lo aveva ancora nelle narici il profumo di quella donna e gli veniva di serrare i pugni, assalito da una disperata voglia di fracassar quelle vetrine, di rovesciar quelle bottiglie, che gli esasperavano insopportabilmente l'angoscia con la loro simmetrica immobilit di cose che potevano seguitare a esser per s, l come prima, mentre tutto per lui era finito, finito!".

18 Canta l'Epistola (1911), in "La rallegrata", cit. ," p. 23:

"Tutte le illusioni e tutti i disinganni e i dolori e le gioje e le speranze e i desideri degli uomini gli apparivano vani e transitori di fronte al sentimento che spirava dalle cose che restano e sopravanzano ad essi, impassibili. Quasi vicende di nuvole gli apparivano nell'eternit della natura i singoli fatti degli uomini";

La nuova colonia (1928), Atto I, Papia: "Tutte le cose uno stupore e pare che il tempo si sia fermato";

Un'idea (1934), in "Berecche e la guerra", cit. , p. 94, finale della novella: "E resta l, di nuovo assorto, opacamente, in quella sua singolare attesa. Il tempo s' fermato e fra le cose rimaste tutt'intorno in uno stupore attonito pare che un segreto formidabile sia nel fatto che in tanta immobilit solo l'acqua del fiume si muova".

19 Pena di vivere cos (1920), cit. , p. 268: "Ma c' pure questo silenzio! Questo silenzio che alle volte, tra un punto e l'altro della maglietta di lana per una bimba povera del quartiere, o tra un rigo e l'altro del libro che ha tra mano, pare sprofondi tutt'a un tratto nel tempo senza fine, e vi renda vani o, piuttosto, sconsolati ogni pensiero, ogni opera. Gli occhi si fissano su un oggetto della stanza e, per quanto l da tanto tempo e familiare, quell'oggetto come se non l'avessero mai visto, o come se tutt'a un tratto si fosse votato d'ogni senso e non se ne vedesse pi la ragione; e cos di ogni altra cosa. Questo silenzio, questo silenzio, che alle volte fa rimpiangere no, nulla di ci che stato, forse; nulla pi, ormai ma quello che non si avuto, che non si potuto avere".

20 La camera in attesa (1916), in "Candelora", cit. , p. 43: "S' arrestata d'un giorno, e pare per sempre, nella camera, quell'illusione di vita. Solo il vecchio orologio di bronzo sul cassettone seguita cupo e pi sgomento che mai a parlare del tempo in quella buja attesa senza fine";

Pena di vivere cos (1920), cit. , p. 262: "Di l, intanto, quel tic e tac lento e staccato della pendola grande. Seguita ancora nel silenzio quella pendola a battere le ore e le mezz'ore, come se non sapesse nulla e il tempo dovesse continuare a scorrere sempre allo stesso modo".

21 Candelora, cit. , p. 7: "Egli pu muoversi; se ne pu anche andare. Ma che stranezza! Si sente come guardato da tutte quelle cose immobili, attorno; e non solo guardato, ma anche come legato dal fascino ostile, quasi ironico, che spira dalla loro attonita immobilit e che gli fa apparire inutile, stupido, anche buffo il suo potersene andare".

22 La mano del malato povero, in "Il viaggio", cit. , p. 41: "Che forse per s, fuori di noi le cose hanno un lor modo d'essere, un senso, un valore? Il modo mio, il senso in me, il valore quello ch'io do loro".

23 La mano del malato povero, cit. , p. 41: "Ecco, dunque, il vero male, amici miei questo, che ormai tutte le cose che ci stanno sopra, sotto, intorno, col modo d'essere, il senso, il valore che da secoli e secoli gli uomini hanno dato ad esse".

24 Trovarsi (1932), Atto II, Elj: "Dipingo male grazie lo so; ma perch non facile, sai, dipingere come vorrei io le cose come appaiono in certi momenti lo scoppio, lo scompiglio di tutti gli aspetti consueti che hanno ridotto la vita, la natura, oh Dio, come una moneta logora, senza pi valore () Ti sar avvenuto qualche volta non sai come non sai perch di vedere all'improvviso la vita, le cose, con occhi nuovi palpita tutto, a fiati di luce e tu, sollevata in quel momento e con l'anima tutta spalancata in un senso di straordinario stupore Io vivo cos. In questo stupore! E non voglio sapere mai nulla! Tu, ecco, sei per me uno stupore ".

25 Un'idea (1934), in "Berecche e la guerra", cit. " p. 89: "Ah se davvero per prodigio si fosse spenta la vita della citt! Seduto come un mendico sul paracarro all'imboccatura della via, davanti la piazza, rimarrebbe come quei fanali vani a mirare e sostenere la stupefazione immota di tutte le cose ormai vuote per sempre di ogni senso".

26 Uno di pi (1931), Berecche e la guerra", cit. , p. 69: "() l, che pareva una mendica all'anticamera della morte, in attesa che un uscio nell'ombra si aprisse e un dito di l si sporgesse a farle cenno di passare. Ma quel cenno non veniva mai; e a star l aspettando, senza pi nulla da fare, le pareva che il tempo, impedito da tutto quel silenzio d'attesa, si fosse fermato e non potesse pi trascorrere; e quelle povere cose, nella stanzuccia, perduto ormai ogni senso, le stessero intorno a guardare in uno stupore attonito. Lei che aveva dato sempre tutto, senza mai pensare a s, lei che era stata nella vita solo a servizio e per utilit degli altri, essere ora cos di peso al figlio, peso inutile; sapersi di pi".

26 bis E Adriana Braggi: "Andava in treno per la prima volta. A ogni tratto, a ogni giro di ruota, aveva l'impressione di penetrare, d'avanzarsi in un mondo ignoto, che d'improvviso le si creava nello spirito con apparenze che, per quanto le fossero vicine, pur le sembravano come lontane e le davano, insieme col piacere della loro vista, anche un senso di pena sottilissima e indefinibile: la pena ch'esse fossero sempre esistite oltre e fuori dell'esistenza e anche dell'immaginazione di lei; la pena d'essere tra loro estranea e di passaggio, e ch'esse senza di lei avrebbero seguitato a vivere per s con le loro proprie vicende".

(Il viaggio, op. cit. , p. 14)

 

 

27 in Il viaggio, cit. , p. 42: "Ma quanti si sforzano di rompere la crosta di questa comune rappresentazione delle cose? di sottrarsi all'orribile noia dei consueti aspetti? di spogliare le cose delle vecchie apparenze che ormai per abitudine, per pigrizia di spirito, ponderosamente si sono imposte a tutti? Eppure raro che almeno una volta, in un momento felice, non sia avvenuto a ciascuno di vedere all'improvviso il mondo, la vita, con occhi nuovi; d'intravvedere in una subita luce un senso nuovo delle cose; d'intuire in un lampo che relazioni insolite, nuove, impensate, si possono forse stabilire con esse, sicch la vita acquisti agli occhi nostri vividi, rinfrescati, un valore meraviglioso, diverso, mutevole. Ahim, si ricasca subito nell'uniformit degli aspetti consueti, nell'abitudine delle consuete relazioni; si riaccetta il consueto valore dell'esistenza quotidiana; il cielo col solito azzurro vi guarda poi la sera con le stelle; il mare v'addormenta col solito brontolio; le case vi sbadigliano di qua e di l con le finestre delle solite facciate, e col solito lastricato vi s'allungano sotto i piedi le vie. E io passo per pazzo perch voglio vivere l, in quello che per voi stato un momento, uno sbarbaglio, un fresco breve stupore di sogno vivo, luminoso; l fuori d'ogni traccia solita, d'ogni consuetudine, libero di tutte le vecchie apparenze, col respiro sempre nuovo e largo tra cose sempre nuove e vive".

28 La nuova colonia (1928), Atto I: "Ma non pensate a nulla! Cercate di fare! Date ascolto a me, che non ho pensato mai. C' la terra da zappare? zappate; da seminare? seminate; gettare, tirare la rete? Gettate, tirate! Fare, fare. Fare per fare, senza vedere neppure quello che fate, perch lo fate. E la giornata passata () e non te ne sei accorto nemmeno. Stanco ti butti a dormire; guardi le stelle e ti pare che dal cielo ti ridano come se fossi un bambino".

 

29 cfr. parole di Ilse, n. 8.

 

30 L'"uomo dal fiore in bocca" voleva non lasciar mai riposare l'immaginazione sulla vita della gente ignota che incontrava per via: "Attaccarmi cos, dico con l'immaginazione attaccarmi alla vita, come un rampicante attorno alle sbarre d'una cancellata. Ah, non lasciarla mai posare un momento, l'immaginazione aderire, aderire con essa, continuamente, alla vita degli altri ma non della gente che conosco. No no. A quella non potrei! Ne provo un fastidio, se sapesse una nausea Alla vita degli estranei, intorno ai quali la mia immaginazione pu lavorare liberamente, ma non a capriccio, anzi tenendo conto delle minime apparenze scoperte in questo e in quello" (La morte addosso, 1918, in "In silenzio", cit. p. 65).

31 Come prima, meglio di prima (1920), Atto II, Fulvia Gelli.

32 Nel gorgo (1913), in "Dal naso al cielo", p. 166.

33 Il berretto a sonagli (1917), Atto I, Ciampa.

34 L'uomo, la bestia e la virt (1919), Atto I, scena III, Paolino: "Quando non si pi cos ipocriti per dovere, per professione sulla scena; ma per gusto, per tornaconto, per malvagit, per abitudine, nella vita o anche per civilt sicuro! perch civile, esser civile, vuol dire proprio questo: dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi; in corpo fiele, in bocca miele".

35 Le tre carissime (1897), in "In vecchio Dio", cit. , p. 90.

36 Certi obblighi (1912), in "Dal naso al cielo, cit. , p. 30.

37 Il sonno del vecchio, in "La mosca", cit. , p. 257: "Vita?" domand tuttavia a se stesso. "E che vita mai quella ch'egli vive? Una continua stomachevole finzione! Non uno sguardo, non un gesto, non una parola, sinceri. Non pi un uomo: una caricatura ambulante. E bisogna ridursi a quel modo per aver fortuna, oggi?".

38 Una giornata (1936), cit. , p. 124: "E c' in tutta la casa quell'odore che cova nei luoghi che hanno preso la polvere, dove la vita appassita da tempo, e quel senso di uggiosa stanchezza che per sostenersi ha bisogno di ben regolate e utili abitudini. Io ne ho avuto sempre orrore". 

39 La veglia (1904), in "In silenzio", cit. , p. 208 . 

40 Formalit, in "Scialle nero", Milano 1961³, p. 160: "Ma questa prova, non cercata, non voluta, gli s'era offerta da s in una di quelle occasioni, in cui la natura umana spezza e scuote ogni imposizione, infrange ogni freno sociale e si scopre qual come un vulcano che per tanti inverni si sia lasciato cader neve e neve addosso, a un tratto rigetta quel gelido mantello e scopre al sole le fiere viscere infocate."

41 Trovarsi (1932), Atto I, Donata Genzi.

42 La vita che ti diedi (1923), Atto III, Donn'Anna Luna: "Vai, vai, figlia vai nella tua vita a consumare anche te povera carne macerata anche tu. La morte ben questa".

43 L'espressione si confronta con altri due brani.

La verit (1912), in "L'uomo solo", cit. , p. 147: "Nella beata incoscienza delle bestie, non aveva neppur l'ombra del rimorso. Perch dovesse rispondere di ci che aveva fatto, d'una cosa, cio, che non riguardava altri che lui, non capiva. Accettava l'azione della giustizia, come una fatalit inovviabile. Nella vita c'era la giustizia, come per la campagna le cattive annate"; 

La prova (1935), in "Una giornata", cit. , p. 58; l'autore interviene, umoristicamente, sul problema della narrazione: "La scena qui rappresentata con una certa malizia che certo i due chierici, nell'immaginarla, non ci misero, ma che Dio parli con le bestie meglio che con gli uomini non mi pare che si possa mettere in dubbio, se si consideri che le bestie (quando per non siano in qualche rapporto con gli uomini) sono sempre sicure di quello che fanno, meglio che se lo sapessero; non perch sia bene, non perch sia male (ch queste son malinconie soltanto degli uomini) ma perch seguono obbedienti la loro natura, cio il mezzo di cui Dio si serve per parlare con loro". 

44 Enrico IV (1922), Atto II, protagonista, dopo aver parlato della "sopraffazione" degli altri: "Parole! parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure cos le cos dette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato da una di queste parole che tutti ripetono! Per esempio: "pazzo" Per esempio, che so? "imbecille".

Ma Luca Fazio, che per odio contro la societ e la vita si uccide, di queste parole della gente importante si vendica (L'imbecille 1926): "Pazzo eh? Ti sembro pazzo, io? E tu che ora dici pazzo a me, non hai da poco finito di dire imbecille al povero Pulino, perch, prima d'impiccarsi, non andato a Roma ad ammazzare Mazzarini?". E pi avanti: "Sarebbe per me la cosa pi atroce credere che debba portarmi altrove il peso delle esperienze che mi toccato fare in questi ventisei anni di vita () che potrei anche farlo; ammazzarti come mente; poich questo non mi trattiene. Ma non t'ammazzo. N credo d'essere un imbecille, se non t'ammazzo. Ho piet di te, della tua buffoneria. Ti vedo ormai, se sapessi, da cos lontano! E mi sembri piccolo e carino, anche; s, povero omettino rosso, con quella cravatta l Ah, ma sai? la tua buffoneria per, la voglio patentare. () Ne ho il diritto, diritto sacrosanto, giunto come sono al confine ormai tra la vita e la morte";

Salter si limita a lamentarsi (Come tu mi vuoi, 1930, Atto I): " spaventoso, signore, come basti una cosa di queste, una sciocchezza magari, che si dica cos per ridere, di passata vede? si fissa in un concetto per sempre sono quello, e non posso esser altro bollato un buffone!".

45 1916, in "Candelora", cit. , p. 125. 

46 L'esclusa, cit. , p. 59.

47 Cos , se vi pare (1917), Atto II, Laudisi: "Voi, non io, avete bisogno dei dati di fatto, dei documenti, per affermare o

negare! Io non so che farmene, perch per me la realt non consiste in essi, ma nell'animo di quei due, in cui non posso figurarmi d'entrare, se non per quel tanto che essi me ne dicono".

48 Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1915, cit. , p. 108.

49 Il berretto a sonagli (1917), Atto I, scena IV, Ciampa: "Pupi siamo, caro signor Fif! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti. Dovrebbe bastare, santo Dio, esser nati pupi cos per volont divina. Nossignori! Ognuno poi si fa pupo per conto suo: quel pupo che pu essere o che si crede d'essere. E allora cominciano le liti! Perch ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di s si crede, quanto per la parte che deve rappresentar fuori. A quattr'occhi, non contento nessuno della sua parte: ognuno, ponendosi davanti il proprio pupo, gli tirerebbe magari uno sputo in faccia. Ma dagli altri, no; dagli altri lo vuole rispettato".

50 Sei personaggi in cerca d'autore (1921), Atto I, il Padre: "Il dramma per me tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi veda si crede "uno", ma non vero: "tanti", signore, "tanti", secondo tutte le possibilit d'essere che sono in noi: "uno" con questo, "uno" con quello diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'esser sempre "uno per tutti", e sempre "quest'uno" che ci crediamo, in ogni nostro atto: Non vero! non vero! Ce n'accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non esser tutti in quell'atto, e che dunque una atroce ingiustizia sarebbe giudicarli da quell'atto solo, tenerci agganciati e sospesi, alla gogna, per un'intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell'atto".

51 Il fu Mattia Pascal (1901), cit. , p. 125, il cavalier Tito Lenzi: "La coscienza? Ma la coscienza non serve, caro signore! La coscienza come guida, non pu bastare. Basterebbe forse, ma se essa fosse castello e non piazza, per cos dire; se noi cio potessimo riuscire a concepirci isolatamente, ed essa non fosse per sua natura aperta agli altri. Nella coscienza, secondo me, insomma, esiste una relazione essenziale sicuro, essenziale, tra me che penso e gli altri esseri che io penso";

Pensaci, Giacomino! (1917), Atto I, Giacomino: "Vuole che glielo dica? Non comprende dunque da s che certe cose si possono fare soltanto di nascosto, e non sono possibili alla vista di tutti, con lei che sa, con la gente che ride?";

La signora Morli una e due (1922), Atto I: "Diversi, non si pu essere se non con gli altri".

52 L'esclusa, cit. , p. 158, Gregorio Alvignani: "Oh, mia cara, quando io dico: "La coscienza non me lo permette", io dico: "Gli altri non me lo permettono, il mondo non me lo permette". La mia coscienza! Che cosa credi che sia questa coscienza? la gente in me, mia cara! Essa mi ripete ci che gli altri le dicono. Orbene, senti: onestissimamente la mia coscienza mi permette d'amarti. Tu interroga la tua, vedrai che gli altri t'hanno ben permesso di amarmi, s, come tu stessa hai detto, per tutto quello che t'hanno fatto soffrire ingiustamente";

Ciascuno a suo modo (1924), Atto I, Diego: "E non vuoi capire che la tua coscienza significa appunto "gli altri dentro di te"? Poi: " la coscienza di cui si parlava poc'anzi. Una rete elastica, che se s'allenta un poco, addio! scappa fuori la pazzia che cova dentro ciascuno di noi";

Quaderni di SerafinoGubbio operatore (1915), cit. , p. 122:

"Il terrore sorge dal riconoscere con un'evidenza spasimosa, che la pazzia s'annida e cova dentro a ciascuno di noi e che un nonnulla potrebbe scatenarla: l'allentarsi per poco di questa maglia elastica della coscienza presente; ed ecco che tutte le immagini in tanti anni accumulate e ora vaganti sconnesse; i frammenti di una vita rimasta occulta, perch non potemmo o non volemmo rifletterla in noi al lume della ragione; atti ambigui, menzogne vergognose, cupi lavori, delitti meditati all'ombra di noi stessi fino agli ultimi particolari, e ricordi obliati e desideri inconfessati, irrompono in tumulto, con furia diabolica, ruggendo come belve. Pi d'una volta noi tutti ci guardammo con la pazzia negli occhi, bastando il terrore dello spettacolo di quel pazzo, perch anche in noi s'allentasse un poco questa maglia elastica della coscienza. E anche ora guatiamo obliquamente e andiamo a toccare con un senso di sgomento qualche oggetto della stanza, che fu per poco illuminato sinistramente d'un aspetto nuovo, pauroso, dall'allucinazione dell'infermo; e, andando nella nostra stanza, ci accorgiamo con stupore e con raccapriccio che s, veramente, anche noi siamo stati sopraffatti dalla pazzia, anche da lontano, anche soli: troviamo qua e l, segni evidenti, tanti oggetti, tante cose stranamente fuor di posto". 

53 Non una cosa seria (novella, 1910), in "La giara", cit. , p. 152, protagonista Perazzetti: "Su questo fondo dell'essere egli aveva fatto studi particolari. Lo chiamava l'"antro della bestia". E intendeva della bestia originaria acquattata dentro a ciascuno di noi, sotto tutti gli strati di coscienza, che gli si sono a mano a mano sovrapposti con gli anni".

54 All'uscita (1916), L'Uomo Grasso: "Una miseria di pensiero mi teneva assorto e chiuso. Di tanta vita che, intanto, entrava in me per i sensi aperti non facevo conto. E poi mi lagnavo. Di che? di quella miseria di pensiero, d'un desiderio insoddisfatto, d'un caso contrario gi passato. E intanto tutto il bene della vita mi sfuggiva. Ma no: ora me n'accorgo: non vero; non mi sfuggiva. Sfuggiva alla mia coscienza; ma non a questo mio corpo che assaporava il gusto della vita, senza dirselo; per cui sto ancora qua come un mendico davanti a una porta, dove non gli pi concesso d'entrare".

55 Enrico IV (1922), Atto II: "() trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni. Eh! che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi cos e domani chi sa come!".

56 La patente (1918): "Voglio anch'io la mia patente. La patente di jettatore. Con tanto di bollo. Bollo legale. Jettatore patentato dal regio tribunale".

57 Come tu mi vuoi (1930), Atto III: "() voglio che tutti s dubitino di me come lui per prendermi almeno questa soddisfazione di restare io sola a credere a me!".

58 cfr. Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915), cit. , p. 148: "() che nausea m'assal d'improvviso della volgare meschinit dei casi in cui mi vedevo mescolato, della gente con cui mi ero messo a trattare, dell'importanza che avevo data e davo loro, alle loro azioni, ai loro sentimenti. Come m'apparve stupido quel Nuti e grottesco nella sua tragica fatuit di figurino di moda E stupida soprattutto la parte mia, la parte che m'ero assunta di consolatore da un canto, di guardiano dall'altro Mi sentii d'un tratto da questa nausea alienato da tutti, da tutto, anche da me stesso, liberato e votato d'ogni interessamento per tutto e per tutti, ricomposto nel mio ufficio di manovratore impassibile d'una macchinetta da presa, ridominato soltanto dal mio primo sentimento, che cio tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, non pu produrre mai altro che stupidit. Stupidit affannose e grottesche!".

59 Soffio (1931), in "Berecche e la guerra", cita. , p. 88: "Tutta la notte e parte del giorno appresso stentai a uscire da quella calca, liberato alla fine anche dallo stretto delle cose della citt orrenda, mi sentii nell'aria della campagna aria anch'io".

60 Trovarsi (1932), Atto II, Donata Genzi: "Tu vuoi "trovare". Ma bisogna trovarsi cos nella vita, di volta in volta, senza cercare; perch, a furia di cercare, se alla fine riesci a trovarti, ma sai che t'avviene? Che non trovi pi nulla e non puoi pi vivere: bell'e morta con gli occhi aperti!". Significativo anche un articolo pubblicato su Quadrante (maggio 1934) dal titolo Trovare senza cercare. Si riporta qui un brano: "perch sia necessario trovare senza cercare l'ho gi detto cos tra le righe l'unica salvezza possibile di quella naturalezza a cui condizionata ogni opera d'arte Voi credete che il leone, il tigre cerchino la preda? Non cercano mai. A un certo punto la preda chiara in essi, nella purit del loro istinto, purit mantenuta in atto da quelle ubbidienze di cui abbiamo detto, da una regola inflessibile di vita: e allora essi vanno dritti alla preda, con tutte le cautele necessarie per appropriarsela. Sanno attendere la fortuna, ma degni della fortuna (). Si trova male a cercare: e di solito cose perdute dagli altri" (p. 19).

61 La carriola, in "Candelora, cit. , p. 199: "Lo spirito mi s'era quasi alienato dai sensi, in una lontananza infinita, ove avvertiva appena, chi sa come, con una delizia che non gli pareva sua, il brulichio d'una vita diversa, non sua, ma che avrebbe potuto esser sua, non qua, non ora, ma l, in quell'infinita lontananza; d'una vita remota, che forse era stata sua, non sapeva come n quando; di cui gli alitava il ricordo indistinto non d'atti, non d'aspetti, ma quasi di desideri prima svaniti che sorti, con una pena di non essere, angosciosa, vana e pur dura, quella stessa dei fiori, forse, che non han potuto sbocciare; il brulichio, insomma, di una vita che era da vivere, l lontano lontano, donde accennava con palpiti e guizzi di luce; e non era nata; nella quale esso, lo spirito, allora s, ah, tutto intero e pieno si sarebbe ritrovato; anche per soffrire, non per godere soltanto, ma di sofferenze veramente sue".

62 Nell'albergo morto un tale, in "Candelora", cit. , p. 209: "Fuori dalle proprie abitudini, lontani dagli aspetti e dagli oggetti consueti, in cui giornalmente vedono e toccano la realt solita e meschina della propria esistenza, ora non si ritrovano pi; quasi non si conoscono pi perch tutto come arrestato in loro, e sospeso in un vuoto che non sanno come riempire, nel quale ciascuno teme possano da un istante all'altro avvisarglisi aspetti di cose sconosciute o sorgergli pensieri, desideri nuovi, da un nonnulla; strane curiosit che gli facciano vedere e toccare una realt diversa, misteriosa, non soltanto attorno a lui, ma anche in lui stesso".

63 E in Guardando una stampa (1906), "La giara", cit. , p. 44: "La carit, caro mio, chi te la fa? La gente allegra per levarti dai piedi. Chi soffre, non te ne fa; non compatisce: pensa a s. Anche con una piccola sventura, crede alla sua e non vede la tua; e se lo vuoi fare capace, s'indispettisce e ti volta le spalle".

64 1929, Atto II:

"() quest'uomo che non ha saputo mai tollerare che mi facessi uguale a lui, e che imped che mi dannassi, insegnandomi le cose della campagna, la vita, la vera vita che ha qui, fuori della citt maledetta, la terra; questa vita che ora sento, perch le mie mani la servono, l'ajutano a crescere, a fiorire, a fruttare; e la gioja della pioggia che viene a tempo; e l'afflizione della nebbia che brucia gli olivi sul fiorire; e hai visto l'erba sulla proda qua della stradetta, d'un verde cos nuovo e fresco, all'alba, con la brina? e il piacere, il piacere, sai, di fare il pane con le tue stesse mani che hanno seminato il grano".

 

65 Trovarsi (1932), Atto III, Donata Genzi: "Lasciatemi sola, vi prego. Ho bisogno di trovarmi sola di restare qua sola Trovarsi Ma s, ecco. Non ci si trova alla fine che soli. Fortuna che si resta coi nostri fantasmi, pi vivi e pi veri d'ogni cosa viva e vera, in una certezza che sta a noi soli raggiungere, e che non pu mancarci! ()

E questo vero .. E non vero niente Vero soltanto che bisogna crearsi, creare! E allora soltanto, ci si trova". 

66 Enrico IV (I922), Atto II:

"E pensare, da qui, da questo nostro tempo remoto, cos colorito e sepolcrale, pensare che a una distanza di otto secoli in gi, in gi, gli uomini del mille e novecento si abbaruffano intanto, s'arrabattano in una ansia senza requie di sapere come si determineranno i loro casi, di vedere come si stabiliranno i fatti che li tengono in tanta ambascia e in tanta agitazione. Mentre voi, invece, gi nella storia! con me! Per quanto tristi i miei casi, e orrendi i fatti; aspre le lotte, dolorose le vicende: gi storia, non cangiano pi, non possono pi cangiare capite? Fissati per sempre: che vi ci potete adagiare, ammirando come ogni effetto segua obbediente alla sua causa, con perfetta logica, e ogni avvenimento si svolga preciso e coerente in ogni suo particolare. Il piacere, il piacere della storia, insomma, che cos grande!".

66 bis All'uscita (1916): "Oh, guardate anche voi, signore: tanto, ormai! se il mio seno si solleva, non vi far pi impressione. Ah ah ah ah". 

67 Vestire gli ignudi (1922), Atto II, Ersilia Drei: "Ero disperata. Come una mendica, ero, che non veda pi un altro scampo che nella morte o nella pazzia".

67 bis Vestire gli ignudi (1922), Atto II, Ersilia Drei: "Perch non puoi capirla, tu, questa cosa orribile, d'una vita che ti ritorna, cos come come un ricordo che invece d'esserti dentro, ti viene ti viene, inatteso, da fuori Cos cangiato che stenti a riconoscerlo. Non sai pi trovargli un posto in te, perch anche tu sei cangiato, e non riesci pi a risentirti vivo in esso, pur vedendo che s, era vita tua, come tu forse eri ma non per te! come parlavi, come guardavi, come ti movevi nel ricordo di quell'altro, senza esser tu";

La carriola in "Candelora", cit. , p. 198: "Io vidi a un tratto, innanzi a quella porta scura, color di bronzo, con la targa ovale, d'ottone, su cui inciso il mio nome, preceduto dai miei titoli e seguito dai miei attributi scientifici e professionali, vidi a un tratto, come da fuori, me stesso e la mia vita, ma per non riconoscermi e per non riconoscerla come mia". 

68 Trovarsi (1932), Atto I, Sal: "() se a uno di noi per caso avviene di sorprendersi di sfuggita in uno specchio nell'atto di piangere per il dolore pi cocente, o di ridere per la gioja pi spensierata, subito il pianto o il riso ci son troncati dall'immagine che n'abbiamo, riflessa in quello specchio".

69 L'esclusa, cit. , p. 110: Ma s'accorgeva, pur senza volerlo, che quel po' di disordine cresceva grazie alla sua figura: fuggevolmente glielo diceva lo specchio, glielo ripetevano poi gli sguardi dei passanti e le vetrine delle botteghe";

Il giuoco delle parti (1918), Atto I, Silia: "Non t' mai avvenuto di scoprirti improvvisamente in uno specchio, mentre stai vivendo senza pensarti, che la tua stessa immagine ti sembra quella d'un estraneo? che subito ti turba, ti sconcerta, ti guasta tutto, richiamandoti a te, che so, per rialzarti una ciocca di capelli che t' scivolata sulla fronte? () Questo maledetto specchio, che sono gli occhi degli altri, e i nostri stessi, quando non ci servono per guardare gli altri, ma per vederci, come ci conviene vivere come dobbiamo vivere Io non ne posso pi!".

70 Notizie del mondo (1901) : "() stata sempre cos per me la vita: a lampi e a cantonate. Non sono riuscito a vederci mai niente. Ogni tanto un lampo; ma per veder che cosa? una cantonata Vale a dire, Momino, la coscienza che ti si para davanti di soprassalto: la coscienza d'una bestialit che abbiamo detto o fatto, tra le tante di cui al bujo non ci siamo accorti" (in "L'uomo solo", cit. , p. 200).

71 Ersilia Drei, come gi Ciampa, dice (Vestire gli ignudi, Atto II): "Bada che posso dir tutto, io, adesso quello che nessuno ha mai osato dire tocco, l'ultimo fondo, io la verit dei pazzi, grido le cose brute di chi non pensa di rialzarsi pi di coprire la sua pi intima vergogna!";

Come tu mi vuoi (1930), Atto I, L'Ignota: "Le pazze soltanto hanno il privilegio di poterle urlare chiare davanti a tutti certe cose!".

 

72 cfr. Il fu Mattia Pascal (1904), cit. 173: "Beate le marionette", sospirai, "su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessit angosciose, n ritegni, n intoppi, n ombre, n piet: nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini e capogiri, poich per la loro statura e per le loro azioni quel cielo un tutto proporzionato".

73 cfr. Il fu Mattia Pascal (1904), cit. , p. 163: "Le anime hanno una lor particolar modo d'intendersi, d'entrare in intimit, fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impicciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavit delle esigenze sociali";

Un'idea (1934), in "Berecche e la guerra", p. 89: "() Ma non dev'essere dell'idea, quel peso. Il peso del tempo che perde a guardar vivere gli altri. Non riesce pi a capirne la ragione, o meglio, aspetta di capire che altro vi stiano a cercare, se questa la vita, cos tutta fatta di cose che si sanno, usuali e necessarie, le stesse ogni giorno, magari con l'illusione che ogni tanto ce ne possano esser di nuove solo perch hanno preso un giro pi largo, con qualche imprevisto in principio, una sensazione insospettata, tanto da parere che s'apra un altro mondo, e poi o ci s'abitua poco dopo o si ricasca subito, delusi, nel solito d'una indifferenza continua".

74 La trappola (1912) in "L'uomo solo", cit. , p. 187: "Perch avete tanta paura di svegliarvi la notte? Perch per voi la forza alle ragioni della vita viene dalla luce del giorno. Dalle illusioni della luce;

Notte (1912), in "La rallegrata", cit. , p. l50: "Forse tanti e tanti s'eran sentiti stringere il cuore al fischio lamentoso del treno in corsa nella notte. Ognun d'essi stava l forse a pensare che le brighe umane appajon vere, prive come sono delle illusioni della luce, e anche per quel senso di precariet angosciosa che tien sospeso l'animo di chi viaggia e che ci fa vedere sperduti su la terra, ognun d'essi, forse, stava l a pensare che la follia accende i fuochi nelle macchine nere, e che nella notte, sotto le stelle, i treni correndo per i piani bui, passando strepitosi sui ponti, cacciandosi nei lunghi trafori, gridano di tratto in tratto il disperato lamento di dover trascinare cos nella notte la follia umana lungo le vie di ferro, tracciate per dare uno sfogo alle sue fiere smanie infaticabili".

75 La trappola (1912) in "L'uomo solo", cit. , p. 187: "Perch le illusioni non sorgono pi spontanee con una luce artificiale, procacciata da voi stessi con mano tremante. Come la mano trema tutta la vostra realt. Vi si scopre fittizia e inconsistente. Artificiale come quella luce di candela. E tutti i vostri sensi vigilano tesi con ispasimo, nella paura che sotto a questa realt, di cui scoprite la vana inconsistenza, un'altra realt non vi si riveli, oscura, orribile: la vera".

76 Non si sa come (1935), Atto II, Romeo Daddi: "Io volevo appunto affermare questa bellezza di solidit l delle cose stabilite, che tutti sanno e, anche se non sanno, accettano l perch si sono stabilite. Un cieco non vede la luna, ma sa che c'. Tutti sanno che in cielo c' la luna; e che sulla terra ci sono i boschi. Crediamo, almeno, di saperlo! Ma poi tutt'a un tratto ci accorgiamo di non averlo mai saputo veramente, quando ne abbiamo un sentimento vero, cos raro, che ce ne crea d'improvviso, misteriosamente, la realt; e la scopriamo allora, la luna, il bosco, la luna che "quella" ora s, "la luna" (indica la luna che sorta), "il bosco", quello! che non han pi nulla da vedere con la luna e col bosco degli altri, come comunemente si sa che ci sono, l'una in cielo e l'altro in questa o in quella parte della terra. Ah eccola, questa la Luna! Se ne ha una volta sola il sentimento vero! E tanti non lo hanno mai, e vivono delle cose che si sanno, senza nessuna vera realt per loro. E tanti che lo hanno avuto una volta, cercano di riaverlo, e non lo trovano pi. questa questa dei sentimenti veri e misteriosi la vera vita che non si sa come si crei in un attimo, e ti rapisca, e ti pu anche far commettere delitti che tu non sai, terribili, e non se ne sa pi nulla, passato quell'attimo, estinto il mistero. Le cose che si sanno non significano allora pi nulla". 

77 Ciascuno a suo modo (1924), Primo intermezzo corale, Uno dei favorevoli: "Perch la avete dagli altri, voi, come una convenzione qualunque, parola vuota: monte, albero, strada, credete che ci sia una "data" realt; e vi sembra una frode se altri vi scopre ch'era invece un'illusione! Sciocchi! Qua s'insegna che ciascuno se lo deve costruire da s il terreno sotto i piedi, volta per volta, per ogni passo che vogliamo fare, facendovi crollare quello che non v'appartiene, perch non ve l'eravate costruito da voi e ci camminavate da parassiti, rimpiangendo l'antica poesia perduta!";

Non si sa come (1935), Atto II, Romeo Daddi: "() ammessa, nella vita, ammessa a tutti, stabilita, la necessit di mentire, e diventa cos facilmente abitudine il non vedere pi la propria menzogna".

78 Lazzaro (1929), Atto III, Monsignore: "() la vita a patto che tu la viva appunto senza sapere, solo credendo";

Non si sa come (1935), Atto I, Romeo Daddi: "() la vita, a patto di credere non di sapere".

79 Lazzaro (1929), Atto II, Lucio: "Per non finire noi, annulliamo in nome di Dio la vita, e facciamo regnare Dio anche di l (non si sa dove) in un presunto regno della morte, perch ci dia l, un premio o un castigo. Quasi che il bene e il male potessero esser quelli di uno che parte, mentre Egli solo, che Tutto, sa ci che fa e perch lo fa. Ecco, vede, dottore? Questo dovrebbe esser per lui, com' stato per me, il vero risorgere dalla morte: negarla in Dio, e credere in questa sola Immortalit, non nostra, non per noi, speranza di premio o timore di castigo: credere in questo eterno presente della vita, ch' Dio, e basta".

 

80 L'umorismo, cit. , p. 152;

Ma non una cosa seria (1918), Atto I, scena VI, Memmo Speranza.

Il viaggio (1910), in "In silenzio", cit. , p. 18: "() e subito a quel soffio un gran silenzio di stupore le allarg smisuratamente lo spirito; e, come se un lume d'altri cieli le si accendesse improvviso in quel vuoto incommensurabile, ella sent d'attingere in quel punto quasi l'eternit, d'acquistare una lucida, sconfinata coscienza di tutto, dell'infinito che si nasconde nella profondit dell'anima misteriosa, e d'aver vissuto, e che le poteva bastare, perch era stata in un attimo, in quell'attimo, eterna";

I vecchi e i giovani, cit. , p. 306, Corrado Salmi: "Si sent lass libero e solo, libero e sereno, sopra tutti gli odii, sopra tutte le passioni, sopra e oltre il tempo, inalzato, assunto a quella altezza dal suo grande amore per la vita ch'egli difendeva, uccidendosi. E in esso e con esso si sent puro, in un attimo, per sempre. Nell'eternit di quell'attimo si cancellarono, sparvero assolte le sue debolezze, i suoi trascorsi, le sue colpe, gi che egli era pure stato un uomo e soggetto a contrarie necessit. Ora con la morte le avrebbe vinte tutte".

80 bis Persino la signora Leuca intravvede abissi di perdizione: Pena di vivere cos (1920), cit. , p. 279: "Eppur forse, se la carne anche in lei fosse diventata padrona, attirata, trascinata cecamente da una curiosit perversa e perfidamente istigata in certi abissi di perdizione ora intravisti, chi sa se non vi sarebbe precipitata anche lei, per rialzarsene subito dopo, magari, lacerata, e con una gran fretta di ricomporre intera e solida, come una pietra su una fossa, la propria dignit, per nascondere e seppellire ogni segno e il ricordo stesso della vergogna". 

81 cfr. Quando si comprende in "Donna Mimma", cit. , p. 82: "() le parve d'esser piombata in un mondo ch'ella non conosceva, in cui s'affacciava ora per la prima volta". Qualcuno, come il vecchio cascinone di Valsania, si sente vivo fra le cose, fra le piante, della vita della montagna e gode di ascoltare la voce dei venti e del mare (I vecchi e i giovani, 1913, cit. , p. 170): "S'era da gran tempo addormentato, il vecchione, nella pace dei campi. Lontano dalla vita degli uomini e quasi abbandonato da essa, aveva da un pezzo cominciato a sentirsi, nel sogno, cosa della natura: le sue pietre, nel sogno, a risentire la montagna nativa da cui erano state cavate e intagliate, e l'umidore della terra profonda era salito e s'era diffuso nei muri come la linfa nei rami degli alberi; e qua e l per le crepe erano spuntati ciuffi d'erba, e le tegole del tetto s'eran tutte vestite di musco. Il vecchio cascinone, dormendo, godeva di sentirsi riprendere dalla terra, di sentire in s la vita della montagna e delle piante, per cui ora intendeva meglio la voce dei venti, la voce del mare vicino, lo sfavillio delle stelle lontane e la blanda carezza lunare. Che bel tappeto nuovo fiammante su la vecchia scala rustica, che aveva due stanghe verdi per ringhiera!".

 

82 Cfr. la novella edita sul "Corriere della sera" qualche giorno prima della morte di Pirandello, Effetti d'un sogno interrotto.

83 Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915), cit. p. 108: "Vogliamo ad ogni costo salvare, tener ritta in piedi quella

metafora di noi stessi, nostro orgoglio e nostro amore. E per questa metafora soffriamo il martirio e ci perdiamo, quando sarebbe cos dolce abbandonarci vinti, arrenderci al nostro essere, che un dio terribile, se ci opponiamo ad esso; ma che diventa subito pietoso di ogni nostra colpa, appena riconosciuta, e prodigo di tenerezze insperate".

84 cfr. La tragedia d'un personaggio (1911) in "L'uomo solo",  cit. , p. 243:

"Nessuno pu sapere meglio di lei, che noi siamo esseri vivi, pi vivi di quelli che respirano e vestono panni, forse meno reali, ma pi veri! Si nasce alla vita in tanti modi, caro signore; e lei sa bene che la natura si serve dello strumento della fantasia umana per proseguire la sua opera di creazione";

La camera in attesa (1916) in "Candelora", cit. , p. 37:

"() la realt non dipende dall'esserci o dal non esserci d'un corpo. Pu esserci il corpo, ed esser molto per la realt che voi gli davate".

85 cfr. Il treno ha fischiato (1914) in "L'uomo solo", cit. , p. 39: "E guardava tutti con occhi che non erano pi i suoi. Quegli occhi, di solito cupi, senza lustro, aggrottati, ora gli ridevano, lucidissimi, come quelli d'un bambino o d'un uomo felice; e frasi senza costrutto gli uscivano dalle labbra. Cose inaudite; espressioni poetiche, immaginose, bislacche, che tanto pi stupivano, in quanto non si poteva in alcun modo spiegare come, per qual prodigio, fiorissero in bocca a lui, cio a uno che finora non s'era mai occupato d'altro che di cifre e registri e cataloghi, rimanendo come cieco e sordo alla vita: macchinetta di computisteria. Ora parlava di azzurre fonti, di montagne nevose, levate al cielo; parlava di viscidi cetacei che, voluminosi, sul fondo dei mari, con la coda facevan la virgola";

Berecche e la guerra (1914), cit. , p. 19: "Cos, cos incredibile come nel giuoco avrebbe fatto lui ragazzetto di nove anni, hanno pensato sul serio di poter fare i Tedeschi, ora, dopo quarantaquattro anni di preparazione militare!"; E il Guarnotta de La cattura (1918) in "La giara", cit. , p. 38: "Tra quei ragazzi mor, mentre scherzava con loro, come un ragazzino anche lui, mascherato con un fazzoletto rosso sui capelli lanosi";

La patente (1918), D'Andrea: "Ragazzo, giocavo coi miei compagni "al tribunale". Uno faceva da imputato; uno, da presidente; poi, altri da giudici, da avvocati Ci avrete giocato anche voi. Vi assicuro che eravamo pi seri allora!";

Una giornata (1936), cit. , p. 124: "Certo ho sognato uno dei sogni pi assurdi. Quasi per averne la prova, vado a guardarmi a uno specchio appeso alla parete dirimpetto, e subito ho l'impressione d'annegare, atterrito, in uno smarrimento senza fine. Da quale remota lontananza i miei occhi, quelli che mi par d'avere avuti da bambino, guardano ora, sbarrati dal terrore, senza potersene persuadere, questo viso di vecchio? Io, gi vecchio? Cos subito? E com' possibile? () Mi vien l'impeto di balzare in piedi. Ma debbo rjconoscere che veramente non posso pi farlo. E con gli stessi occhi che avevano poc'anzi quei bambini, ora gi cos cresciuti, rimango a guardare finch posso, con tanta tanta compassione, ormai dietro a questi nuovi, i miei vecchi figliuoli".

86 Teatro e letteratura, 30 luglio 19l8, "Messaggero della Domenica": "L'opera letteraria il dramma e la commedia concepita e scritta dal poeta: quella che si vedr in teatro non e non potr essere altro che una traduzione scenica"; e il Padre nei Sei personaggi in cerca d'autore, Parte II: "Un personaggio, signore, pu sempre domandare a un uomo chi . Perch un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui sempre "qualcuno". Mentre un uomo non dico lei, adesso un uomo cos in genere, pu non essere "nessuno". 

87 La carriola in "Candelora", cit. , p. 204: " () gli occhi mi sfavillano di gioja, le mani mi ballano dalla volutt che sto per concedermi, d'esser pazzo, d'esser pazzo per un attimo solo, d'uscire per un attimo solo dalla prigione di questa forma morta, di distruggere, d'annientare per un attimo solo, beffardamente, questa sapienza, questa dignit che mi soffoca e mi schiaccia".

La gente, orgogliosa di ci che sa, con la propria curiosit opprime i tre "personaggi" che nella sventura continuano a vivere per la umana "piet": Cos , se vi pare (1917).

88 cfr. Risposta (1912) in "Scialle nero", cit. , p. 218: 

"Un poeta pu veder le stelle anche quando non si vedono"; Romeo Daddi di Non si sa come (1935), Atto I: "Vedo ci che normalmente, quelli, che sono savi, non sanno o non vogliono vedere".

 

89 Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915), cit. , p. 179:

" Fratello

No: non gli dissi questa parola. Si sentono certe parole, in un momento fuggevole; non si dicono. Ges pot dirle, che non vestiva come me e non faceva come me l'operatore. In una umanit che prende diletto d'uno spettacolo cinematografico e ammette in s un mestiere come il mio, certe parole, certi moti dell'animo diventano ridicoli".

90 Nello schema di Pirandello del terzo atto, alla scena II si doveva dire dei giganti: "Chi sono loro. La ricchezza. Come vivono. Come trattano la terra".

91 I vecchi e i giovani (1913, cit. , p. 119, parole di Mauro Mortara: "Portarono il colera, vi dicevo: un'epidemia terribile! Figuratevi che a Burmula, paesattuccio, in una sola giornata, ottocento morti. Come le mosche si moriva. Ma la morte a un disgraziato che paura pu fare?".

1 Non si sa come (1935), Atto I, Romeo Daddi: "Che parte credi che abbia la volont nella vita? Puoi solo servirtene, nelle poche cose, appena credi di sentirle o di saperle. Ti ci muovi e sbatti subito contro un muro, o ti perdi nel bujo. Che vuoi che si sappia?" 

 

2 Atto II, La Spera: "A me basta per consolarmi di tutto, guardare gli occhi del mio bambino, quando li apre per guardare e non sanno nulla! Li guardo, e in questa loro innocenza mi scordo di tutto. E tutto quello che so della vita mi pare allora lontano lontano, un sogno cattivo che la luce di questi occhi fa subito sparire". Si ricordi la novella Felicit (1911) in "Il viaggio", cit. p. 139: "Ma l'agitazione affrett il parto, e non senza rischio, cos per lei come per il nascituro. Quando per ella si vide salva col bimbo, quando vide quella sua carne che palpitava viva, recisa da lei, carne che piangeva fuori di lei, che le cercava il seno, cieca, e il calore che le mancava; quando pot porgere al suo bimbo la mammella, godendo che entro a quel corpicino uscito or ora dal suo corpo entrasse subito quella sua tepida vena materna, s che il pargolo potesse sentire nel calore del latte ancora il calore del grembo di lei, parve veramente che volesse impazzire dalla gioja".

3 Atto I: "Quando sarai per mare, t'ho detto, e l'avrai cattivo com' cattivo questa sera, se sai che a petto della terra il mare tanto tanto pi grande che non gli costerebbe nulla soperchiarla lui, la terra, e farne un boccone; tu devi pensare che, se non lo fa, questa la volont di Dio".

Cfr. I tre pensieri della sbiobbina (1905) in "La rallegrata", cit. , p. 102: "Dio, eh? Dio era chiaro aveva voluto cos, per un suo fine segreto. Bisognava far finta di crederci, per carit, ch' altrimenti Clementina si sarebbe disperata. Spiegandoselo cos, invece, lei poteva anche considerare come un bene tutto il suo gran male: un bene sommo e glorioso. Di l s'intende. In cielo. Che bella angeletta sar poi in cielo Clementina!".

4 Atto II, Spera a Crocco: "Nessuno di noi pu esser tutto, se poi ci sono gli altri. Vedi? ho capito questo io. E ho capito anche, allora, che c' un modo, s, d'esser tutto per tutti; e sai qual ? quello di non esser pi niente per noi".