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Questo libro raccoglie le notazioni teoriche, pratiche,
cliniche e politiche di un intellettuale che, con un gesto di dignità
e di rigore, si costituisce contro la stessa assunzione della pena, senza nessuna
complicità con il cannibalismo giudiziario.
5 luglio 1989, mercoledì
Amici miei carissimi,
le cose, tante, quante e quali, esistono nell'arca, nella parola originaria, tanto impadroneggiabili quanto inconfiscabili. Lo stesso disagio sancisce il modo della loro introduzione nell'arca. Sono tante. E mai come tali. Nessuna di esse se ne sta al di fuori dell'arca, come ineffabile, come sostanza, a partecipare al diluvio che si scaglia sulla foresta o sul deserto ricoprendoli. Le cose partecipano all'originario della parola. Sicché non c'è più diluvio. Non c'è più sostanza da assumere nei cerimoniali collettivi dell'osservanza e della trasgressione.
Le cose sono quante: si strutturano secondo la loro particolarità, secondo il loro idioma, secondo la loro logica. La loro quantità si fa d'infinito, sicché, scrivendosi, si cifrano, approdano alla loro qualità, si qualificano. Nel loro itinerario procedono dal due, dall'inconciliabile della relazione, dell'armonia, dalla diade contrassegnata da giuntura e separazione, dal vel con cui si dilegua il principio del terzo escluso, dal clinamen, dal due come apertura originaria, come albero. Albero della vita. E non già albero genealogico, di cui si armano le gerarchie e le parentele, le compagnie e le armonie sociali. Albero delle relazioni insociali. La fenice, la croce, il nodo, la catena, la maglia lo indicano nella superficie come apertura, da cui può procedere la superficie come squarcio, come tempo, essenziale nel ritmo delle cose, nel dispositivo del loro farsi e del loro scriversi, nonché del loro qualificarsi. Le cose sono quali: si rivolgono alla qualità, alla cifra della parola.